martedì 7 dicembre 2010
HENRY – UN FILM TENERO E FEROCE
Henry, il film che Alessandro Piva ha presentato al Torino Film Festival di To-rino,è un noir ambientato in una Roma decadente e senza grandi speranze. L’atmosfera ricorda quella che si respirava in “Mio cognato”, dello stesso regista, anche se le ambientazioni appartengono a due mondi diversi ( un paesino pugliese e la capitale).
L’argomento scottante in “ Henry”, è quello della schiacciante dipendenza dalla droga, dell’assoluta mancanza di riferimenti, obiettivi e sostegni. Due ragazzi involontariamente coinvolti in un duplice omicidio sono giova-ni, poco più che adolescenti, e nuotano in quel limbo strano in cui si alterna la dipendenza alla volontà di uscirne.
Sembra evidente, anche per la bravura di Carolina Crescenti e Michele Rion-dino, che il loro dramma si consuma soprattutto per la mancanza di nuclei familiari saldi e riferimenti affettivi certi; per l’assenza totale di un tessuto so-ciale che possa offrire loro lumi e possibilità; per la mancanza totale di un appiglio che li aiuti a riemergere dal fatale errore.
Questo film racconta il baratro in cui finiscono le giovani vite nell’età dell’in-
Certezza, quella che Jean Jacques Rousseau definiva “tempestosa rivolu-
zione che si annuncia con il mormorio di passioni violente;…..in cui il bam-bino diventa sordo alla voce che lo rendeva docile; è un leone nella sua febbre….”
Se il film lascia intravedere un barlume di speranza nella vita troppo breve ( per finire ) dei ragazzi, lo sguardo diventa più cupo là dove muore ogni speranza, nell’inferno di chi si è allontanato troppo dalla salvezza: gli adulti perduti nel crudele mondo della dipendenza. Lì è troppo tardi per tutto.
Due poliziotti, racchiusi in figure malinconiche ed irrisolte, regalano al film quella porzione di umanità e tenerezza che ben ci protegge dal sensazio-nalismo dei film d’azione americani. Uno (Claudio Gioè) offre una buona in-terpretazione del commissario disincantato e stanco, in crisi di valori, se pur mosso da un profondo attaccamento al senso del dovere. L’altro ( Paolo Sas-sanelli), interpreta ,con grande mestiere, il ruolo di un ispettore schiacciato dalla sua stessa sordità alla vita, tanto da esporlo al rischio di quella dipen-denza che è chiamato a combattere, rendendolo inaffidabile.
La mafia ( Bianca e nera ), conserva i suoi codici anche nel film e prospera nel suo mondo di violenza e fragilità, in cui ogni vittima diventa carnefice. Alfonso Santagata si cala perfettamente in un personaggio emblematico di questo mon-do e in tutte le contraddizioni che lo riguardano.
A mio parere, un film intenso, feroce, tenero, ben riuscito.
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