martedì 20 dicembre 2011
NUTRIAID PER LA SOMALIA
Il dr. Costanzo Bellando, il prof. Piero Abruzzese e il Prof. Daniele Regge uniti da un progetto per la Somalia.
Testimonial Cristina Chiabotto, che racconta la sua esperienza inmadagascar
venerdì 16 dicembre 2011
mercoledì 14 dicembre 2011
FIDELIO, UN’OPERA INCOMPRESA
L’ unica opera lirica scritta da Beethoven apre la stagione 2011- 2012 del Teatro Regio.
“Il mio vero elemento è la sinfonia. Quando un’eco mi risuona nell’anima sento sempre in piena orchestra. Dagli strumenti posso pretendere tutto ciò che voglio, nelle composizioni per canto devo sempre chiedere prima : “si può cantare?”
Erano le parole del Maestro Beethoven, che non cercava di nascondere la sua scarsa inclinazione per il teatro e la predilezione assoluta per il repertorio strumentale.
Del resto, era cresciuto in tutt’altro contesto, rispetto al suo illustre predecessore, Wolfang Amadeus Mozart. Si era affermato in una città come Vienna che rappresentava il regno dell’arte strumentale. Non viaggiò tanto quanto Mozart, che restò segnato dal pensiero drammaturgico italiano, e finì per conoscere poco il melodramma settecentesco.
Ludwig van Beethoven scrisse, così, un’unica opera lirica, dalla stesura estremamente travagliata ( solo l’Ouverture avrà ben 4 versioni) : Fidelio.
Venerdì 9 dicembre al Teatro Regio di Torino l’opera ha aperto la stagione 2011- 2012 , diretta da Gianandrea Noseda, con la regia di Mario Martone e le scene di Sergio Tramonti.
Fidelio narra una storia vera accaduta nella Francia del XVII secolo, a Tours, in una società dominata dal terrore.. Léonore, la protagonista, si reca nel carcere in cui è stato imprigionato Florestan, l’uomo che ama, arrestato e torturato dal feroce governatore Don Pizarro. Ricorrerà all’inganno presentandosi travestita da uomo e sotto falso nome, Fidelio. Riuscirà nel suo intento e salverà Florestan rendendolo di nuovo un uomo libero.
L’opera ruota attorno a due temi in stretta relazione tra loro: il bisogno di libertà che domina la vita di ogni uomo, e l’amore coniugale, sodalizio necessario a difendere il diritto stesso di libertà. La vittoria dell’amore sulla tirannia, dunque. L’esaltazione della libertà contro ogni catena che imprigioni un essere umano. Un’opera simbolo, che ben rappresenta il pensiero di Beethoven; quella forte passione politica del Maestro che sfocerà più tardi in un’autentica esplosione: l’Inno alla Gioia della Nona sinfonia.
Per alcuni, si tratta di un’opera difficile all’ascolto, troppo lunga e poco melodica. Hector Berlioz , invece, nelle sue memorie scrisse “di aver raramente provato un godimento musicale così completo”.
Personalmente ( per quanto possa contare il giudizio di un’appassionata ascoltatrice di mediocre preparazione), le 56 battute che raccontano la liberazione di Florestan rappresentano un momento musicale toccante , quando la melodia di ampio respiro dell’oboe conduce Léonore a pronunciare”O Dio, quale istante!”.
La terza stesura della celebre ouverture Léonore n. 3, invece, continua ad essere una delle pagine strumentali più eseguite di tutto il repertorio sinfonico. Purtroppo, non nella versione scelta dal Teatro Regio, ossia quella definitiva del 1814.
La direzione di Noseda è stata un autentico successo.
Il suo gesto vigoroso e preciso ha cesellato l’Ouverture, mentre, la sua saggezza musicale ha preferito operare il taglio della suddetta Lèonore n. 3, il cui peso sinfonico richiede una sede concertistica.
La regia di Martone e le scene di Sergio Tramonti riproducono il perfetto clima claustrofobico del carcere che ricorda il gioco di luce e buio del recente film “Noi credevamo”, e come nella pellicola, emerge lo stesso groviglio di ambiguità e fallimenti che impedisce un percorso lineare verso gli ideali di libertà e giustizia. Un allestimento splendido ed efficace nelle sue intenzioni. Un contributo decisivo sicuramente è dato dai costumi ideati da Ursula Patzak.
Léonore, la protagonista , è interpretata da una grande cantante, il cui talento è riconosciuto in tutta Europa: il soprano Ritarda Merberth, wagneriana dotata di una voce di splendido colore. Bravissima, in questa prova
Lucio Gallo nel ruolo di Don Pizarro è perfetto. Baritono di grande caratura.
Il Teatro Regio mette a segno un altro successo.
lunedì 12 dicembre 2011
giovedì 8 dicembre 2011
ARTEMISIA GENTILESCHI - LA FURIA E LA PASSIONE
Al palazzo Reale di Milano l’esposizione delle opere di Artemisia Gentileschi fino al 29 gennaio 2012. Un riconoscimento al talento di una grande artista ignorata per tre secoli.
Inizia con uno stupro in giovane età la vita di successi e tormenti di Artemisia Gentileschi.
Era il maggio del 1611 quando, Agostino Tassi, amico del padre Orazio, la violentò segnando per sempre il suo destino di donna forte e ferita, vero emblema storico per le generazioni che verranno, simbolo assoluto del femminismo internazionale.
Quel tragico episodio divenne segno indelebile nella produzione artistica di questa donna affascinante e tormentata. Giuditta decapita Oloferne è il dipinto che apre la mostra, sottolineando il desiderio di rivalsa della giovinetta nei confronti del mondo maschile violento e burrascoso.
La forte influenza che il Caravaggio esercitò sulla produzione artistica di Artemisia, emerge con violenza in questa opera che, in un gioco di luci intense e ombre impenetrabili, sottolinea la violenza di un sentimento di vendetta non sopito.
La scena evoca l’episodio dell’antico Testamento in cui Giuditta, vedova ebrea, si reca sul campo nemico in cerca del condottiero assiro Oloferne, per circuirlo e ucciderlo con una brutale decapitazione.
La scelta appropriata di aprire l’esposizione con la tela dipinta tra il 1612 ed il 1613 getta, in un baleno, il visitatore nel gorgo del talento indiscusso di questa grande artista : l’incarnato luminoso delle due donne, la piega viva di un lenzuolo insanguinato e le grinze perfette delle vesti dai colori sgargianti, ne esaltano la magnifica tecnica pittorica, carica di rigore e tratto drammatico.
La mostra espone oltre 40 tele che ben rappresentano il suo cammino tra Firenze, Roma e Napoli, e 5 tra le più belle lettere d’amore scritte da Artemisia e Francesco Maria Maringhi, suo ardente amante.
La sensualità è un altro importante tratto che emerge dalle sue tele brucianti. La Conversione della Maddalena, quadro realizzato tra il 1615 ed il 1616, è un’opera che, sotto questo aspetto, ben si presta ad un confronto diretto con la pittura di Caravaggio. La Maddalena del celebre, burrascoso artista, conservata nella Galleria Doria Pamphilj, propone la visione ardita di una bella prostituta con lo sguardo abbassato, adagiata su una sedia modesta, spogliata dei gioielli abbandonati sul pavimento nudo.
La Maddalena convertita di Artemisia ha un aspetto avvenente, ma elegante; il suo sguardo è carico di lacrime e volto al cielo;
un’ampia scollatura, appena sfiorata da lunghi capelli biondi, le dona un aspetto sensuale, ma la sua veste è di una foggia preziosa, confezionata con la seta che domina nel celebre “ guardaroba Gentileschi”.
La complicità tra donne, è un altro tema che ricorre nelle opere di Artemisia.
In Giuditta e la fantesca la pittrice enfatizza la complicità psicologica delle due donne che chiude nello stesso spazio, unendo i loro corpi a specchio e gettando i loro sguardi nella stessa direzione. La stretta vigorosa della mano di Giuditta sull’elsa della spada, e il gesto protettivo della serva che nasconde la testa mozzata del nemico, amplifica il senso di complicità di unisce le due donne. Sembra essere sparita anche la distanza di classe che emergeva dal loro sguardo nella tela della decapitazione.
Qui l’influenza di Caravaggio su Artemisia è totale.
La mostra si chiude con una seconda rappresentazione di Giuditta decapita Oloferne, realizzata nel 1620 e conservata alla Galleria degli Uffizi di Firenze. A differenza della prima realizzazione, che apre l’esposizione ed è conservata al Museo Capodimonte di Napoli, la scena ha tratti pittorici più maturi e, se possibile, più inquietanti.
Tre secoli sono dovuti passare per riconoscere il grande talento artistico di Artemisia. La sua capacità di emergere in un mondo che non contemplava l’affermazione femminile, l’ha trasformata in una delle poche protagoniste dell’arte europea, ma la sua vicenda personale l’ha trasformata nella protagonista ideale di un romanzo, oscurando i suoi meriti professionali.
Questa mostra le rende merito. Finalmente.
lunedì 5 dicembre 2011
domenica 4 dicembre 2011
venerdì 2 dicembre 2011
TWIXT: FINALE A SORPRESA
TWIXT : FINALE A SORPRESA
Proiettata a Torino l’anteprima mondiale del film di Francis Ford Coppola
E’ stato un finale a sorpresa, quello del 29° Torino Film Festival che in chiusura prevedeva solo la proiezione del film “Albert Nobbs” di Rodrigo Garcia. Al ricchissimo programma è giunta, inaspettatamente, l’anteprima del film di Francis Ford Coppola ,“Twixt”.
Gran colpo della rodata macchina sabauda che ha avuto la meglio, rispetto a molti festival internazionali che si sono contesi la pellicola, tra cui Cannes e Venezia.
Coppola torna a raccontare una storia di vampiri, in cui finisce uno sconosciuto scrittore di horror. Ambientato nella sperduta periferia americana, la vicenda di bimbi, killer e vampiri si alterna alla storia di dolore che ha colpito lo sfortunato scrittore nel passato : la morte di sua figlia.
Lume sul buio tracciato della verità, lo scrittore Edgar Allan Poe che, sopraggiungendogli in sogno lo aiuterà a scoprire il mistero della morte di un’adolescente, a metabolizzare il senso di colpa per la morte della figlia e a raggiungere l’insperato successo editoriale.
Il parallelo tra il senso di disperazione che colse il grande scrittore dell’Ottocento per la morte della sua amata, giovanissima moglie, Virginia Clemm e la morte della ragazzina che guiderà lo scrittore fallito e alcolizzato verso la soluzione del suo oscuro orizzonte, non sembra risolvere il film nella trama più avvincente.
Inevitabile il parallelo tra “Twixy” e “Dracula di Bram Stoker”, in cui Coppola dà una struttura epica, luciferina e romantica del personaggio.
Probabilmente aiutato dall’ingente finanziamento di 40 milioni di dollari elargito dalla Columbia Tristar, o favorito dalla sceneggiatura di James Hart che ha attinto da “The Annotated Dracula di Leonard Wolf, Coppola confezionò, con il suo Dracula, un film che vinse tre Oscar.
Con una serie di invenzioni narrative, tecniche, cromatiche e figurative fece una puntigliosa, affascinante, ricostruzione della Londra vittoriana del 1897. Il film pullulava di riferimenti al romanticismo e al simbolismo pittorico dell’Ottocento; accattivanti riferimenti alla grafica del fumetto graffiavano le scene e numerose, diaboliche metamorfosi del protagonista, Gary Oldman, le sconvolgevano.
Forse un eccesso di stili, ma un grande film.
Twixt non lascia il segno. Girato in parte a colori e in parte in bianco e nero, sia in 2D che in 3D ( solo per un paio di scene), la trama langue in una storia un po’ scontata. Girato con la maestria che condraddistingue il lavoro del Maestro, e sostenuto dalla buona recitazione della scuola americana ( anche se il protagonista meglio calza la figura dell’alcolista fallito, piuttosto che quella dello scrittore tormentato), il film non decolla, e neppure l’attenzione degli spettatori. Peccato.
giovedì 1 dicembre 2011
Antropos va in onda il giovedì alle 22.3o su Quartaretetv, in diretta streaming al sito www.quartarete.tv, in replica il sabato alle 23.15 su Quartarete tv e su Sky - Canae 950 il mercoledì alle 12 .
Anto indossa abiti di Fabrizio Lenzi, gentilmente offerti da "Laloggia", Via Bertola9, Torino e i Bijuox del Gatto, Via Bertola 6, Torino
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