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Vice Presidente di Film Commission Torino Piemonte - Collaboratore in Staff Assessorato Attività Produttive, Commercio, Lavoro Città di Torino

La vera saggezza sta in colui che sa di non sapere

Nel corso del tempo il lavoro mi ha insegnato che sono infinite le cose che non sappiamo. Da lì, il mio impegno per l'informazione e la divulgazione è diventato "passione".


mercoledì 10 settembre 2014

BIRDMAN: la fragilità di un volo piumato.




Si è aperta con il film di Alejandro Gonzales Inarritu la 71' Mostra del Cinema di Venezia. Si parla già di candidature all'Oscar.

Cosa fa di un film un bel film?
Per molti la capacità tecnica di lunghi piani sequenza, per altri gli effetti speciali, la recitazione, la fotografia, la storia, i costumi, le ambientazioni.
Per molti, un film deve avere la forza e la magia di spiegare l'essenza della vita, quella che ci attraversa dentro, come “Birdman”, il film che ha aperto la 71' Mostra del Cinema di Venezia.
E' tecnicamente ben fatto, con lunghi efficaci piani sequenza e perfettamente recitato da un cast impeccabile, ma la sua forza è quella di raggiungerti con la violenza di una scudisciata: una storia angosciante e divertente nel contempo, con passaggi continui tra realtà e surrealtà, grottesca, drammatica e poetica.
Alejandro Gonzales Inarritu, il regista messicano al suo sesto (bel) film, ha voluto raccontare la storia di una vecchia celebrità che, caduta nell'oblio, cerca un riscatto nel teatro misurandosi con la sua mancanza di talento.
Il vago parallelismo tra la storia di Riggan Thomson, il protagonista reso famoso dal fantastico personaggio piumato”Birdman”, e Michael Keaton, che fu il celebre “Batman, rende seducente la lettura ma inopportuno ogni accostamento con questo grande artista, che ha vissuto serenamente e che ha interpretato con la profondità necessaria il dramma di un fallimento.
Il regista ha voluto cogliere e raccontare l'attimo di vita di un uomo in cui muore il futuro, quindi anche i suoi desideri: la consapevolezza dei propri limiti e l'incapacità ad accettarli; l'asfissia a cui ti condanna la gabbia del successo costruito sulla celebrità, e non sul talento, esattamente come il ridondante mondo dei social network, per cui puoi esistere solo per il crudele senso del ridicolo.
Proprio come un grande uccello piumato che batte incessantemente contro una finestra chiusa, il protagonista combatte inutilmente contro un mondo che non lo tirerà fuori dal suo personaggio insulso. La sua realtà ben s'intreccia con il breve racconto dolente di Raymond Carver “ Di cosa parliamo quando parliamo d'amore”, e la finzione teatrale diventa il percorso illuminato nei tortuosi corridoi bui dell'animo del protagonista.
Ma il film fa luce su molti di noi. Su un comprimario grottesco e crudele, ma soprattutto irrisolto ( Edward Norton), su due attrici coprotagoniste che, seppur impeccabili sulla scena, non hanno saputo governare la propria vita ( Naomi Watts e Andrea Rsiborough); su una figlia infelice e tossicodipendente, incapace di guardare la vita oltre il suo dramma interiore; sul ruolo dell'amico produttore, abbastanza affettuoso e cinico, come le due anime richiedono.
E fa ancora spietatamente luce, sul mondo della critica, animato da guardoni affamati di insuccessi, e sul mondo virtuale del social network, unico ambito deputato a certificare l'esistenza di un cristiano.
E' un film sano, perché contiene in sé ogni elemento necessario a riflettere. Per ognuno di noi.
E' scomodo, come una poltrona poco accogliente. Feroce, come uno specchio che rimanda, inesorabilmente, ogni dettaglio pietoso dell'immagine.
Ma è poetico, perché racconta la fragilità che non sa abbandonarsi all'indifferenza. Descrive l'infrangersi delle emozioni che si schiantano sugli scogli della vita generando il devastante, imperscrutabile fenomeno della solitudine.
Bravissimo Inarritu, per aver fatto questo film.
Bravissimo Alberto Barbera per averlo scelto come film di apertura di questa mostra che si annuncia magnifica.