mercoledì 14 dicembre 2011
FIDELIO, UN’OPERA INCOMPRESA
L’ unica opera lirica scritta da Beethoven apre la stagione 2011- 2012 del Teatro Regio.
“Il mio vero elemento è la sinfonia. Quando un’eco mi risuona nell’anima sento sempre in piena orchestra. Dagli strumenti posso pretendere tutto ciò che voglio, nelle composizioni per canto devo sempre chiedere prima : “si può cantare?”
Erano le parole del Maestro Beethoven, che non cercava di nascondere la sua scarsa inclinazione per il teatro e la predilezione assoluta per il repertorio strumentale.
Del resto, era cresciuto in tutt’altro contesto, rispetto al suo illustre predecessore, Wolfang Amadeus Mozart. Si era affermato in una città come Vienna che rappresentava il regno dell’arte strumentale. Non viaggiò tanto quanto Mozart, che restò segnato dal pensiero drammaturgico italiano, e finì per conoscere poco il melodramma settecentesco.
Ludwig van Beethoven scrisse, così, un’unica opera lirica, dalla stesura estremamente travagliata ( solo l’Ouverture avrà ben 4 versioni) : Fidelio.
Venerdì 9 dicembre al Teatro Regio di Torino l’opera ha aperto la stagione 2011- 2012 , diretta da Gianandrea Noseda, con la regia di Mario Martone e le scene di Sergio Tramonti.
Fidelio narra una storia vera accaduta nella Francia del XVII secolo, a Tours, in una società dominata dal terrore.. Léonore, la protagonista, si reca nel carcere in cui è stato imprigionato Florestan, l’uomo che ama, arrestato e torturato dal feroce governatore Don Pizarro. Ricorrerà all’inganno presentandosi travestita da uomo e sotto falso nome, Fidelio. Riuscirà nel suo intento e salverà Florestan rendendolo di nuovo un uomo libero.
L’opera ruota attorno a due temi in stretta relazione tra loro: il bisogno di libertà che domina la vita di ogni uomo, e l’amore coniugale, sodalizio necessario a difendere il diritto stesso di libertà. La vittoria dell’amore sulla tirannia, dunque. L’esaltazione della libertà contro ogni catena che imprigioni un essere umano. Un’opera simbolo, che ben rappresenta il pensiero di Beethoven; quella forte passione politica del Maestro che sfocerà più tardi in un’autentica esplosione: l’Inno alla Gioia della Nona sinfonia.
Per alcuni, si tratta di un’opera difficile all’ascolto, troppo lunga e poco melodica. Hector Berlioz , invece, nelle sue memorie scrisse “di aver raramente provato un godimento musicale così completo”.
Personalmente ( per quanto possa contare il giudizio di un’appassionata ascoltatrice di mediocre preparazione), le 56 battute che raccontano la liberazione di Florestan rappresentano un momento musicale toccante , quando la melodia di ampio respiro dell’oboe conduce Léonore a pronunciare”O Dio, quale istante!”.
La terza stesura della celebre ouverture Léonore n. 3, invece, continua ad essere una delle pagine strumentali più eseguite di tutto il repertorio sinfonico. Purtroppo, non nella versione scelta dal Teatro Regio, ossia quella definitiva del 1814.
La direzione di Noseda è stata un autentico successo.
Il suo gesto vigoroso e preciso ha cesellato l’Ouverture, mentre, la sua saggezza musicale ha preferito operare il taglio della suddetta Lèonore n. 3, il cui peso sinfonico richiede una sede concertistica.
La regia di Martone e le scene di Sergio Tramonti riproducono il perfetto clima claustrofobico del carcere che ricorda il gioco di luce e buio del recente film “Noi credevamo”, e come nella pellicola, emerge lo stesso groviglio di ambiguità e fallimenti che impedisce un percorso lineare verso gli ideali di libertà e giustizia. Un allestimento splendido ed efficace nelle sue intenzioni. Un contributo decisivo sicuramente è dato dai costumi ideati da Ursula Patzak.
Léonore, la protagonista , è interpretata da una grande cantante, il cui talento è riconosciuto in tutta Europa: il soprano Ritarda Merberth, wagneriana dotata di una voce di splendido colore. Bravissima, in questa prova
Lucio Gallo nel ruolo di Don Pizarro è perfetto. Baritono di grande caratura.
Il Teatro Regio mette a segno un altro successo.