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Vice Presidente di Film Commission Torino Piemonte - Collaboratore in Staff Assessorato Attività Produttive, Commercio, Lavoro Città di Torino

La vera saggezza sta in colui che sa di non sapere

Nel corso del tempo il lavoro mi ha insegnato che sono infinite le cose che non sappiamo. Da lì, il mio impegno per l'informazione e la divulgazione è diventato "passione".


martedì 7 dicembre 2010

HENRY – UN FILM TENERO E FEROCE



Henry, il film che Alessandro Piva ha presentato al Torino Film Festival di To-rino,è un noir ambientato in una Roma decadente e senza grandi speranze. L’atmosfera ricorda quella che si respirava in “Mio cognato”, dello stesso regista, anche se le ambientazioni appartengono a due mondi diversi ( un paesino pugliese e la capitale).
L’argomento scottante in “ Henry”, è quello della schiacciante dipendenza dalla droga, dell’assoluta mancanza di riferimenti, obiettivi e sostegni. Due ragazzi involontariamente coinvolti in un duplice omicidio sono giova-ni, poco più che adolescenti, e nuotano in quel limbo strano in cui si alterna la dipendenza alla volontà di uscirne.
Sembra evidente, anche per la bravura di Carolina Crescenti e Michele Rion-dino, che il loro dramma si consuma soprattutto per la mancanza di nuclei familiari saldi e riferimenti affettivi certi; per l’assenza totale di un tessuto so-ciale che possa offrire loro lumi e possibilità; per la mancanza totale di un appiglio che li aiuti a riemergere dal fatale errore.
Questo film racconta il baratro in cui finiscono le giovani vite nell’età dell’in-
Certezza, quella che Jean Jacques Rousseau definiva “tempestosa rivolu-
zione che si annuncia con il mormorio di passioni violente;…..in cui il bam-bino diventa sordo alla voce che lo rendeva docile; è un leone nella sua febbre….”
Se il film lascia intravedere un barlume di speranza nella vita troppo breve ( per finire ) dei ragazzi, lo sguardo diventa più cupo là dove muore ogni speranza, nell’inferno di chi si è allontanato troppo dalla salvezza: gli adulti perduti nel crudele mondo della dipendenza. Lì è troppo tardi per tutto.
Due poliziotti, racchiusi in figure malinconiche ed irrisolte, regalano al film quella porzione di umanità e tenerezza che ben ci protegge dal sensazio-nalismo dei film d’azione americani. Uno (Claudio Gioè) offre una buona in-terpretazione del commissario disincantato e stanco, in crisi di valori, se pur mosso da un profondo attaccamento al senso del dovere. L’altro ( Paolo Sas-sanelli), interpreta ,con grande mestiere, il ruolo di un ispettore schiacciato dalla sua stessa sordità alla vita, tanto da esporlo al rischio di quella dipen-denza che è chiamato a combattere, rendendolo inaffidabile.
La mafia ( Bianca e nera ), conserva i suoi codici anche nel film e prospera nel suo mondo di violenza e fragilità, in cui ogni vittima diventa carnefice. Alfonso Santagata si cala perfettamente in un personaggio emblematico di questo mon-do e in tutte le contraddizioni che lo riguardano.
A mio parere, un film intenso, feroce, tenero, ben riuscito.

sabato 13 novembre 2010

DON CHISCIOTTE Il primo romanzo per capire il mondo



Il capolavoro con cui Cervantes realizza un vero elogio alla libertà umana; la rappresentazione dei dilemmi dell’uomo incapace di nutrire fiducia nella razionalità rinascimentale . Un capolavoro d’analisi della condizione umana.


Operazione propedeutica alla lettura dei romanzi contemporanei dovrebbe essere la lettura dell’opera che, secondo le più autorevoli voci della critica letteraria, ha segnato l’inizio della Modernità:
“don Chisciotte” di Miguel Cervantes.
Insieme a Montaigne, questo grande autore dà inizio ad un’epoca che durerà quattro secoli, passando per l’Illuminismo, il Romanticismo e le avanguardie, fino al nichilismo. Un percorso letterario che si spingerà fino a Leopardi, Nietzsche, Descartes, Kant, Hegel, Tolstoj, Proust, Kafka e Joyce.
Da quel momento il romanzo diventa la chiave di lettura dei tempi moderni, insieme al pensiero filosofico e alla scienza sperimentale. Dunque, per la prima volta i personaggi, attraverso le loro avventure, passioni ed ossessioni raccontano lo spirito di un’epoca , ponendo le domande più urgenti per la società e offrendo le risposte che, fino ad allora, erano frutto delle facoltà dell’intelletto.
Il romanzo narra delle sorti di Alfonso Chisciano, signore appassionato di romanzi cavallereschi , d cui la lettura ha pregiudicato la ragione, sovrapponendo, nella sua mente, i confini tra realtà e finzione.
Combatterà mulini a vento confondendoli per giganti nemici, indosserà catini al posto di elmi e scambierà contadine per madonne.
Brucerà d’amore per ”Dulcinea”, immaginaria figura che rappresenta “la senora de sus pensamientos”, l’ideale di ogni bellezza, il senso stesso della vita.
Al suo fianco la figura di Sancio Panza fido scudiero cui il cavaliere ed il suo autore devono la salvezza del romanzo stesso. La sola figura di don Chisciotte, infatti, non riesce a riflettersi in quello che fa e la narrazione stessa sembra destinata a languire fino alla comparsa, inizialmente sotto-tono, di questo rozzo contadino che finirà per rappresentare la quantità spirituale necessaria al romanzo, regalandogli uno splendido equilibrio.
E’ necessario leggere “don Chisciotte “perché si tratta di uno tra i libri più discussi, su cui ogni età sente necessario il confronto per sperimentare la propria problematica. Un romanzo che ci pone di fronte al dualismo di due figure opposte : quella romantica di don Chisciotte, folle cavaliere dell’ideale perennemente in lotta con la realtà cui lui oppone la sua meravigliosa illusione di generosità e purezza, e quella intrigante di Sancio Panza , cui viene affidato il compito di rappresentare l’altro polo dialettico, la dura quotidianità.
L’inerzia terrestre dell’uno finirà per trionfare sulla tenerissima follia dell’altro fino all’epilogo, anch’esso romantico e di un’amara malinconia in cui il cavaliere errante riconoscerà e confesserà la propria follia, come una totale resa alla realtà.
II confronto tra i personaggi, però, non è mai opposizione o conflitto. L’eroe intellettuale secco e allampanato evade nell’azione e la rustica figura di Sancio, basso e tarchiato , s’addentra negli intricati confini del pensiero.
Non è un caso se Cervantes sceglie che il personaggio principale sia folle. Convinto che solo la pazzia offra allo scrittore la necessaria libertà per affrontare il racconto della propria esperienza ,evitando di inciampare in pericoli intellettuali, dovrà però capire in fretta che ciò non è possibile. Don Chisciotte, in parte savio ed in parte folle, finirà in un inevitabile imbarazzo in cui la follia non lo libererà dalla saggezza e viceversa. Sicuramente, però, il mondo raccontato attraverso la prospettiva eccentrica della follia ha scongiurato, per l’autore, il rischio di scivolare in un malinconico autobiografismo.
Questo libro per nulla problematico e tragico rappresenta, straordinariamente, uno dei capolavori in cui si formarono la problematica e le tragedie europee; un’opera in cui la saggezza e la pazzia restano nettamente separate, a differenza dei pazzi romantici
La saggezza del protagonista non è quella di un pazzo ma di un uomo intelligente, nobile, prudente che in sé non coltiva nulla di demoniaco né paradossale; mai tormentato dal dubbio o dalla contraddizione ma, piuttosto, confortato da un se stesso ponderato, sensibile e benevolo.
Grande luce riflette il romanzo nell’intricato mondo delle relazioni umane, come nel rapporto tra il cavaliere errante ed il suo scudiero, figure non sempre legate da un vincolo d’affetto e fedeltà.
Spesso don Chisciotte si fa cogliere dall’ira nei confronti della rozza figura di Sancio e questo ultimo decide di seguire lo stolto Signore solo per scopi di profitto. Magnifica, però la trasformazione che porterà entrambi alla piena compenetrazione nel mondo dell’altro.
In realtà, con questo capolavoro, l’autore compie un doppio prodigio: inventa, attraverso Don Chisciotte, la coscienza ironica e scrive un vero elogio alla libertà….”……non c’è più grande male
che possa venire agli uomini la schiavitù……..fortunato colui a cui il cielo ha dato un tozzo di pane e non sia in obbligo di dover ringraziare nessuna latro che il cielo” (traduzione di Vittorio Bodini).
Cervantes sosteneva che un buon romanzo non serve a null’altro scopo che a un onesto divertimento. A lui non sarebbe mai venuto in mente che lo stile di un romanzo, sia pure il migliore, potesse rendere trasparente l’ordine del mondo.

giovedì 11 novembre 2010

LA SCELTA RINNOVABILE DELLA CINA





Il sorpasso della Cina nei confronti dell’Europa e degli Stati Uniti è avvenuto sul fronte economico e, già da tempo, si appresta a superare anche il confine del mondo energetico, in uno scenario che si sviluppò progressivamente come ben illustrato da Gianni Silvestrini, Direttore scientifico di kyotoclub, nonché Presidente Exalto.
Subito dopo le crisi petrolifere del 1973 e del 1979 iniziò un progressivo interessamento nei confronti delle scelte rinnovabili che infransero il dominio dei combustibili fossili. Gli Stati Uniti puntarono su aerogeneratori di taglia elevata; vennero progettate torri nei deserti per catturare l’energia solare; si puntò allo sfruttamento delle differenti temperature degli oceani. L’Europa e il Giappone seguirono gli esempi che, però, fallirono clamorosamente.
Ebbero maggiore successo i progetti che partirono dal basso. Anche in Europa, per esempio in Danimarca, venne dimostrato come potenziare lo sfruttamento dei piccoli aerogeneratori, raggiungendo, negli anni, quelle dimensioni che si auspicavano trent’anni prima negli Stati Uniti. I primi interventi eolici erano solo piccoli impianti di proprietà privati che dovevano assolvere all’auto produzione.
In questa logica la Cina iniziò il proprio approccio al mondo delle rinnovabili puntando sullo sfruttamento di minicentrali idroelettriche e miniaerogeneratori, sollecitata anche dall’assenza di un’adeguata rete elettrica in una realtà ancora troppo rurale. La consueta solerzia che contraddistingue ogni azione cinese produsse un risultato che la Banca Mondiale definì “ il più imponente sforzo di elettrificazione rurale mai tentato nei paesi in via di sviluppo”.
Parallelamente, l’avvicendarsi di Reagan a Carter alla Presidenza degli Stati Uniti e il concomitante crollo del presso del petrolio (1985), comportarono una considerevole attenuazione del ricorso alle fonti rinnovabili.
Ciò che lascia increduli è la rapida crescita che la Cina ha fatto in questo campo, assurgendo a primo produttore delle tecnologie solari ed eoliche del pianeta. Nel 2000, questo sconvolgente paese, importava il 97% degli aerogeneratori e oggi occupa un posto da leader, grazie a tre compagnie collocate tra le prime dieci nel mondo. Tanto vale anche per il settore fotovoltaico.
Più complessa la situazione, per la Cina, per quanto riguarda l’istallazione nel proprio territorio. Pur raggiungendo risultati straordinari nel mondo dell’eolico, solo tra qualche tempo si potranno raggiungere risultati importanti anche nel campo del fotovoltaico, con sufficienti istallazioni sugli edifici e costruzioni di adeguate centrali solari.
Per fortuna, nel frattempo l’Europa non è rimasta indifferente alla minaccia del progressivo riscaldamento della Terra, provvedendo ad un immediato nuovo interesse alle scelte ecocompatibili: Germania, Spagna e Danimarca hanno investito in prestigiosi progetti nel campo del solare e dell’eolico, arrivando ad occupare le prime posizioni nella produzione di entrambi i settori, “trasformando il 63 % di tutta la nuova potenza elettrica installata dall’Europa, in energia “verde”.
Dunque, una folle rincorsa tra Cina ed Europa, con la speranza che gli Usa non accettino di rimanere indietro. Chissà se la Cina vincerà anche questa volta….

DOPO 40 ANNI IL NEUTRINO OSCILLA



Cosa sono i neutrini? Dove albergano? Perché oscillano?
I risultati di uno studio lungo 40 anni li porta in luce e svela i segreti della loro trasformazioni


Quanti tipi di “oscillazioni” potrebbero ancora stupirci?
Quella del valore dei mercati internazionali? Quella dell’umore? Quella della Terra? Meglio, quella del neutrino, che la fisica aspettava da quaranta anni.
Era il 1969 quando Bruno Pontecorvo, il più giovane dei “ragazzi di via Panisperna”, collaborò alla fondamentali ricerche sulle proprietà dei neutroni lenti. Il suo prezioso contributo servì a ipotizzare l’esistenza di due tipi di neutrini ( neutrino-e e neutrino-m) e, suggerendo il modo di evidenziarli sperimentalmente, svolse importanti studi sulla massa dei neutrini e sulle loro “oscillazioni”.
I neutrini sono abbondantissimi nell’universo e vengono prodotti in diversi fenomeni cosmici, per esempio nelle reazioni di fusione nucleare al centro delle stelle. E’ necessario ricordare che in natura ne esistono tre tipi: muonico, elettronico e tau. Il brillante ragazzo, allievo di Fermi, intuì per primo la capacità dei neutrini di trasformarsi da un tipo all’altro,.
Quello che si attendeva da tempo, è accaduto recentemente : il neutrino muonico partito dal Cern di Ginevra, due millisecondi e mezzo dopo è stato captato dal rivelatore Opera dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFIN, in qualità di neutrino tau.
Una rivoluzione! Ciò dimostra che nel suo percorso il neutrino ha subito la trasformazione, tecnicamente definita “oscillazione”. La scoperta che queste particelle contengano una massa costituisce un elemento importante per spiegare il modo in cui interagiscono fra loro i più piccoli componente della materia.
I risultati di questi esperimenti sui segreti delle particelle elementari, di cui solitamente ignoriamo la portata nella quotidianità, sono spesso il frutto di studi e ricerche fatte in collaborazione tra scienziati di tutto il mondo, perché i ricercatori non conoscono i confini politici dei propri laboratori.
Per esempio, negli anni 80 venne effettuato in Giappone un esperimento sui neutrini , cui ne seguì un secondo chiamato “ Kamiokande”. Lo scopo di questo ultimo era studiare i neutrini di tipo muonico prodotti negli urti dei raggi cosmici con gli atomi dell’atmosfera terrestre. L’esperimento si trovava nell’emisfero nord del pianeta e osservava sia i neutrini generati nell’impatto con l’atmosfera sopra il Giappone che quelli prodotti nell’emisfero sud.
Ciò non esclude, però, che gli esperimenti siano esposti ai mille laccioli che la politica impone.
Nel caso specifico, un percorso ideale per lo studio dell’oscillazione dei neutrini è quello tra il Cern di Ginevra, dove si trova l’acceleratore di particelle SPS in grado di generare nuetrin muonici con l’energia necessaria, e i Laboratori del Gran Sasso, dove si trova “Opera”, apparato sperimentale in grado di accoglierli e osservarli. Date le condizioni ideali, nel 1999 nasceva, così, “CNGS”, progetto che prevedeva il viaggio di 730 chilometri delle particelle da Ginevra al Gran Sasso, un’occasione scientifica straordinaria.
Non fu così facile. In quegli anni al Cern era in corso la costruzione dell’acceleratore LHC, splendido impianto di proporzioni pachidermiche e, per molti, era impossibile immaginare la convivenza dei due progetti. Nel 2001, nel momento peggiore di crisi finanziaria del Cern, il progetto CNGS rischiò di essere soppresso, con la grave conseguenza di non raggiungere i risultati di una scoperta rivoluzionaria.
Solo la forza e la fede dei ricercatori ( compresi quelli giapponesi) e del responsabile del loro progetto, Luciano Maiani attualmente Presidente del CNR, salvarono la ricerca che ha condotto alla scoperta di cui ognuno dovrà essergliene grati. Bisogna saperlo.

martedì 9 novembre 2010

L’ERRORE IN CARTELLA


La cartella clinica è quell’insieme di informazioni e documenti che registra i dati anagrafici e sanitari nonché, l’anamnesi, la diagnosi e la prognosi di un paziente. Lì sono racchiuse tutte le informazioni preziose che formano il quadro complessivo della salute di un paziente.
Quale posto più possibile per compiere errori nel percorso terapeutico di un individuo?La finalità della cartella clinica è essenzialmente diagnostico-terapeutica; è lo strumento di lavoro essenziale per il medico operante in ospedale e in struttura di degenza, verbalizza il decorso clinico di un paziente, le decisioni assunte, gli interventi effettuati diventando, nel contempo, anche strumento di cura.
E’ di fondamentale importanza che sia compilata con appropriata terminologia medico – biologica, secondo precisi schemi e che rispetti una serie di prescrizioni rigide previste dalla normativa sul consenso informato..
La cartella clinica, oltre a quanto citato, deve contenere ogni dettaglio che riguardi interventi diagnostici, terapeutici e chirurgici, tutte i referti degli accertamenti specialistici che vengono effettuati durante il ricovero, l’eventuale verbale operatorio, la scheda anestesiologica e quella delle dimissioni.
Deve essere compilata secondo i criteri di veridicità, perché quanto scritto coincida con quanto fatto, di rintracciabilità, affinché si possa risalire a tutte le attività svolte, agli esecutori, ai materiali e ai documenti che costituicono le componenti del ricovero del paziente e di completezza e precisione, tali da agevolare il lavoro degli operatori che si avvicendano nel percorso terapeutico.
Tutto questo deve essere garantito in un documento che, secondo il decreto legislativo 6972/1890, deve essere redatto in forma cartacea pur passando tra le mani di tanti operatori. Ecco allora che nasce l’errore in corsia, soprattutto nella prescrizione e somministrazione dei farmaci.
Lo dimostra uno studio che è stato effettuato in cinque ospedali dell’area londinese:
sono stati monitorati 2955 ordini di farmaci eseguiti da 10 farmacisti ospedalieri, in 11 corsie di reparti pediatrici, per 444 pazienti nel corso di 22 settimane di osservazione. Gli operatori hanno rilevato 391 errori di prescrizione, pari ad una percentuale del 13,2%
L’errore più comune tra quelli riscontrati nella prescrizione della terapia è dovuto ad ’incompletezza, abbreviazioni inesatte e dosaggi sbagliati.
Nell’ambito della somministrazione dei farmaci sono stati riscontrati 429 errori su 2249 casi, ossia una probabilità del 19,1% fornire al paziente una terapia sbagliata.
Perchè si compiono tali errori? A causa di chi o di quale sistema?
Certo, è innegabile che la figura del medico che si specializza a 32 anni resti poi precaria fino a 40, che la formazione universitaria presenti molte lacune, che il sistema sanitario sia dilaniato da tanti sprechi economici e che le nomine siano spesso lottizzate.
Come fronteggiare, dunque, tale emergenza? Forse potrebbe aiutare un’educazione prescrittiva pre e post laurea, prescrizione con supervisione durante il tirocinio, formazione continua dei medici, introduzione della carta standart della prescrizione del servizio sanitario, ma soprattutto il consolidamento dei una “cultura della sicurezza” nella parte clinica.
Ciò che è indispensabile, indubbiamente, nella lotta all’errore di prescrizione è l’alto grado di professionalità di tutte le figure impegnate introno al paziente: medici, infermieri e farmacisti.
Fortunatamente, sono nati i primi provvedimenti specifici per l’introduzione della cartella clinica completamente informatizzata che riduce al minimo la possibilità di errore nella trascrizione e lettura dei dati diagnostici e terapeutici, favorendo lo scambio di informazioni in rete tra i vari ospedali.
Se si tiene conto che la cartella clinica di un paziente può servire anche per indagini di natura scientifica, statistica e medico-legale si può comprendere l’importanza di tale innovazione.
Tutto quanto rappresentato è’ stato ben compreso da alcuni (pochi ) ospedali in cui questo progetto è stato avviato e che sono diventati modelli di efficienza da emulare, come il san Giovanni Bosco di Torino.

Anto in studio

AMBIENTE – LAVORI IN CORSO


Anche quest’anno ha avuto luogo a Torino la manifestazione “Uniamo le energie “che la Regione Piemonte organizza affinché continui il confronto internazionale sulle politiche ambientali. Un manifesto che racchiude i punti salienti di un’efficace politica di risparmio energetico e di educazione ad uno stile di vita più sostenibile per l’ambiente.
La Regione Piemonte ha guadagnato il ruolo – guida in un progetto nazionale, grazie alla sua politica particolarmente attenta alle problematiche ambientali, alla mole di risorse umane ed economiche impiegate per favorire la formazione a tale riguardo e ai provvedimenti presi per offrire incentivi alle aziende che adottano scelte compatibili all’ambiente
Ciò che merita un’attenta riflessione è la giornata inaugurale che ha ospitato i relatori del World Political Forum , ambientalisti autorevoli del calibro di Michail Gorbaciov che lo presiede, Wolfang Sachs noto sociologo ed economista del Wuppertal Institute, Ashok Khosla, presidente dell’Unione internazionale di conservazione della natura.
Costretto dagli eventi alla presenza video Michail Gorbaciov ha provveduto ad inviare un lungo messaggio inevitabilmente illuminante. Quest’uomo che ha rappresentato una delle figure più importanti del secolo passato e che ha avviato e condotto il processo di cambiamento del suo paese, generando un sostanziale mutamento dello scenario internazionale, non poteva che offrire una riflessione ampia e profonda del problema, che a suo giudizio esisterebbe anche se oggi possedessimo riserve di petrolio per ulteriori duecento anni.
Il Premio Nobel per la Pace che ha guidato la “Perestroika” e che oggi presta il suo impegno a favore dell’ambiente, ha richiamato l’attenzione del dibattito ad una questione che precede i pur fondamentali accorgimenti che la politica e la scienza studiano per la difesa del nostro stanco pianeta.
Secondo Michail Gorbaciov il mondo si trova ancora drammaticamente al centro di una grande crisi economica e ogni tesi rassicurante circa un’immediata soluzione ci espone ad un forte rischio di collasso.
La crisi aggravata dalla minaccia di esaurire a breve le risorse energetiche a disposizione del pianeta dovrà certamente accelerare il processo di riduzione dei consumi di energia primaria, abbattere il livello dei gas serra emessi e favorire al massimo l’uso delle risorse rinnovabili ma non potrà prescindere dall’urgenza di stabilire un rapporto di pace tra le energie e l’uomo. La rovina delle grandi civiltà è stata generata sempre dall’uso scorretto delle energie utilizzate.
Basta un breve sguardo alla storia passata per capire quanto questo grande statista abbia ragione . Quanti errori sono stati generati da una politica scorretta delle risorse, al fine di mantenere potere ed interessi di uno o più popoli, dando luogo ad un’ inaccettabile suddivisione delle risorse stesse nel mondo.
Un intervento che ha toccato le corde profonde di ognuno tornando ai vecchi quesiti degli antichi filosofi: l’irrisolta questione che investe l’uomo nella gestione corretta del potere.
Alla luce di tale autorevole introduzione ogni relatore ha brillantemente esposto il proprio intervento sovrapponendolo
A questo concetto.
Così Bernard Laponche, esperto di politiche energetiche al Globe Chance, ha parlato del concetto di “efficienza energetica” citando le tre regole fondamentali da rispettare come la sicurezza nel trasporto dell’energia, la riduzione della quantità di gas serra emessi che favoriscono il cambiamento di clima e lo sviluppo di nuovi settori produttivi ,ma ha concluso che ogni soluzione proposta non avrebbe senso se non riducendo il consumo dei paesi ricchi a favore di un amento dei consumi dei paesi più poveri. Non è immaginabile inseguire una riduzione del consumo mondiale, è necessario invertire il trend di dispendio energetico e distribuzione delle risorse tra paesi ricchi e poveri.
Wolfgang Sachs ha incantato la platea spiegando nel dettaglio il passaggio che la nostra civiltà sta effettuando dall’era industriale a quella solare. L’uomo torna ( come nel XIX secolo) a sfruttare la natura senza danneggiarla, così come la vela di una barca usa il vento per condurla, lo raccoglie, non lo distrugge. Un concetto semplice quanto affascinante.
La giornata è stata densa di studi, soluzioni, proposte. E’ stata messa in luce l’importanza del messaggio creativo (spot), linguaggio diretto ed efficace ,oggi, per formare le coscienze ma la vera novità in tale consesso di ricerca è stato il coro unanime circa il ricorso ala prima, imprescindibile soluzione per la salute del pianete: l’etica!

Foto ospiti in studio

UN SOGNO ALTERNATIVO


Prende forma una grande progetto tecnologico in grado di fornire ingenti quantità di energia pulita ad una vasta zona che si estende tra l’Europa, il Nord Africa il Vicino Oriente .Desertec è un progetto da 400 miliardi di euro di cui fa parte l’italiana Enel Green Power.

Le meravigliose coltivazioni del sud della Spagna erano lo scenario più roman-
tico per Don Chisciotte e Sancho Panza, secondo la penna prestigiosa di Miguel
De Cervantes e l’estro geniale di Pablo Picasso. Oggi, nei pressi di Siviglia si erge
un enorme complesso tecnologico che racchiude,nella sua imponente torre illuminata da specchi ( 600, per l’esattezza), l’ambizioso obiettivo di fornire una straordinaria quantità di energia pulita all’Europa, al Nord Africa e al Vicino Oriente.
Si chiama “ Planta Solar 10”, e si tratta di un grandissimo impianto di energia sola-
re che per molti rappresenta la realizzazione di un sogno auspicato da tempo : ra-
pire l’energia del sole e renderla finalmente una vera fonte alternativa di calore.
Ci crede Franz Triech dell’Istituto di Termodinamica Tecnica di Stoccarda che spie-
ga i confini di una zona che racchiude paesi con le stesse esigenze energetiche, per l’appunto, Europa, Nord Africa e Vicino Oriente.
L ’Europa non dovrebbe aumentare il proprio fabbisogno energetico fino al 2050 , dal momento che non è prevista una forte crescita né demografica nè economica, dunque dei consumi. Al contrario, il Nord Africa ed il Vicino Oriente,compenseranno la loro più alta richiesta di elettricità per i motivi esattamente contrari.
La novità e la speranza risiede nel tentativo di creare un vero sistema di rete inte-
grata in cui concentrare il sistema idroelettrico, eolico, geotermico, a biomasse e
soprattutto solare, che catturi almeno una parte rilevante del potenziale solare (630
migliaia di miliardi di kilowatt ora), per soddisfare una porzione considerevole del fabbisogno del pianeta ( 18 ). La zona confinata in esame ( Europa, Nord Africa e Vicino Oriente ) ne consuma 4, e per fronteggiare la sua richiesta un gruppo di imprese europee ha lanciato il progetto “Desertec”, di cui fa parte anche l’Italia con
Enel Green Power.
Dunque, sono state unite le diverse risorse energetiche alternative : l’eolico del Nord Europa, il geotermico di Germania e Italia e soprattutto il solare del Sahara
( bel 2.500 chilometri quadrati di pannelli!). L’investimento è stato stimato intorno
ai 400 miliardi di euro e la scelta tecnologica è stata fatta sempre tenendo ben
conto delle caratteristiche del territorio.
Planta Solar, che appunto, domina le terre del sud della Spagna, è composto di 600 specchi che seguono il sole in modo da dirigerne costantemente i suoi raggi verso la sommità di una altissima torre, che si erge come un tempio costruito al Dio Sole, dotata di ricevitore. Ques’ultimo, trasmette l’enorme quantità di calore ricevuto
a dell’aria che, a sua volta, raggiungerà la temperatura di 700 gradi. Il calore viene trasformato in vapore, che genera il lavoro di una turbina.
Il problema più evidente da affrontare è quello dei costi, e la sfida più grande è quella di rendere conveniente un sistema in cui l’energia prodotta in un paese venga trasportata in un altro molto lontano ( per esempio dal Sahara al Nord Eu-
ropa). Attualmente i cavi trasportano corrente alternata, con la costante perdita di circa la metà della fornitura. Per ovviare al problema bisognerebbe trasportare
corrente continua ad alto voltaggio, come nella linea concepita in Cina il trasporto di
energia dalle centrale idroelettriche a Shanghai.
Affinché l’investimento nelle fonti rinnovabili diventi conveniente, però, i paesi devono imparare a risolvere i grandi problemi come le piccole questioni.
Ma perché i governi dovrebbero investire nelle soluzioni ecologiche?
Perché riconoscere i limiti ecologici e le loro implicazioni a livello di equità sociale non è soltanto una questione morale astratta, ma anche un pratico modello di governo.
Comprendere la natura dei limiti ambientali ed essere in grado di analizzare in det-
taglio i vari spetti dei flussi ecologici comporta molti vantaggi. Tutto ciò può essere espresso dal calcolo dell’impronta ecologica che fornisce diversi dettagliati strumenti utili al servizio degli analisti politici.
L’impronta ecologica misura di quanta terra e acqua produttiva una popolazione ha bisogno per produrre le risorse che consuma e perché i suoi rifiuti vengano assorbiti.
Nella media mondiale l’impronta ecologica è di 2,9 ettari globali, a fronte di una disponibilità media di 2,1 ettari globali pro capite di terra e mare biologicamente produttivi
Il calcolo dell’impronta ecologica attuale ci dimostra che i consumi e la produzione di rifiuti dell’umanità superano la capacità della Terra di creare nuove risorse ed assorbire i rifiuti. In sostanza stiamo liquidando il capitale naturale per sostenere il nostro attuale uso delle risorse, quindi stiamo riducendo la capacitò della Terra di sostenere la vita futura.
La sostenibilità vera sarà raggiunta solo quanto l’uomo potrà condurre una vita soddisfacente entro i limiti della capacità biologica della Terra.
Questo progetto, Desertec, ne è un valido tentativo.

OFF LIMIT


Un recente prestigioso studio scientifico illustra i limiti che l’uomo non dovrebbe superare in campo ambientale e quelli già drasticamente valicati.
La prestigiosa rivista Nature ha pubblicato un rapporto che diventerà un faro illuminante nell’ambito della scienza della sostenibilità, che ci aiuterà a capire l’entità dell’impatto che l’intervento dell’uomo esercita sui sistemi naturali.
Si tratta del lavoro di un pool di 29 scienziati europei, statunitensi ed australiani , tra cui il premio Nobel Paul Crutzen , volto ad individuare i punti critici, denominati “Tipping point” nel libro di di Malcolm Gladwell, oltre i quali la Terra andrebbe incontro a disastri ecologici indicibili.
Il rapporto in questione, cui ne seguirà uno più esteso presto pubblicato su Ecology and Society , prevede nove grandi “limiti invalicabili” : 1) cambiamento climatico; 2) acidificazione degli oceani; 3) riduzione della fascia di ozono nella stratosfera; 4) modificazione del ciclo biogeochimico dell’azoto e del fosforo; 5) utilizzo globale di acqua; 6) cambiamenti dell’utilizzo del suolo; 7) perdita della biodiversità; 8) difusione degli aerosol atmosferici; 9) inquinamento da prodotti chimici antropogenici.
Da sempre l’uomo è abituato a considerare proprie tutte le risorse della Terra e viziato dall’idea maldestra che siano tutte inesauribili. Nell’arco di 10.000 anni di storia ha costruito e distrutto imperi e civiltà. E’ sopravvissuto alle catastrofi, ha colonizzato ogni angolo del mondo. Ha salvaguardato la sua specie passando dai possibili 200.000 abitanti presenti sulla Terra circa 2.000 anni fa, ai 6,8 miliardi attuali, con la previsione che diventino 9.000 nel 2.050.
Acqua, terra, aria. In quali di questi campi l’uomo ha varcato il limite di sicurezza? In tre dei punti dettagliatamente illustrati nel rapporto pubblicato da Nature : nel cambiamento climatico, nella perdita di biodiversità e ciclo dell’azoto. Non è poco.
Pochi dati chiari:
il cambiamento climatico è stato registrato in seguito all’aumentata concentrazione di anidride armonica nell’atmosfera ( 387 ppm invece che 380 previsti come limite ) e al cambiamento del “forcing radiativo” ( calcolato in base alla differenza tra quantità di energia che “entra” ed “esce” dall’atmosfera stessa);
la perdita di biodiversità viene calcolata in base al tasso di estinzione ( per milione all’anno ) di specie animali. Attualmente è calcolato intorno a 100, quello ritenuto accettabile è 10 ;
per ciò che attiene all’azoto, è stato calcolato l’ammontare di quello rimosso dall’atmosfera per utilizzo umano in milioni di tonnellate annue.
Dunque, l’impatto che l’intervento dell’uomo esercita sull’ecosistema non è più solo una preoccupazione astratta ed approssimata, ma uno studio attento e preciso sul margine di errore che ogni giorno compie.
Se è vero che gli dei vivono in ogni uomo, nel profondo della sua psiche, plasmandone l’anima.; se è vero che sono predisposizioni potenti e invisibili che possono influenzare la personalità, il lavoro ed i rapporti umani di coloro che abitano. Se è vero che è a loro che dobbiamo l’intensità o la distanza emotiva, la propensione per l’acutezza mentale, per la sensibilità estetica o per la comprensione di grande respiro, dovremmo confidare in Zeus, dio del cielo, perché vinca la volontà dell’uomo e su Ade, dio del mondo sotterraneo, perché ogni scelta che l’uomo opera avvenga nel regno della sua coscienza.
In buona sostanza, la ricerca scientifica ci offre la possibilità di conoscere con perfezione il margine di danno che compiamo ogni giorno nei confronti del pianeta. L’etica, è l’unico strumento per mezzo del quale potremmo riparare.

Foto studio Antropos

UN PATTO GIA’ SUPERATO


Copenaghen ha ospitato il più importante vertice mondiale sul clima.
In quei giorni le proposte delle più grandi potenze del mondo sono state messe a confronto con le speranze e gli impegni dei paesi ancora in difficoltà. L’analisi critica e costruttiva dei paesi emergenti è maturata nel dialogo con i paesi economicamente avanzati.
Questo summit doveva alimentare le nostre speranze, offrire certezze e soluzioni per rallentare l’azione distruttiva dell’uomo sul pianeta. Doveva placare le paure, invece è stato un fallimento.
Molteplici sono le ipotesi avanzate al riguardo. Analisti, economisti, statisti di tutto il mondo hanno cercato di capire perché il patto nato a Copenaghen nasce come un “accordo imperfetto”, “già vecchio”, tra due grandi potenze: Usa e Cina.
La partecipazione di Obama , che aveva caricato di attese l’evento, ha comunque rappresentato un passo necessario per la politica degli Stati Uniti ma ha comportato un’invitabile soluzione di compromesso con la Cina.
La disputa si è basata su due aspetti fondamentali: l’assoluta necessità che il Governo cinese stabilisca un limite all’emissione dei propri gas serra ( meno del 40% entro il 2020), e la scelta inevitabile di stabilire opportuni controlli a garanzia dell’ingente trasferimento di fondi dagli Stati Uniti alla Cina.
Il risultato non soddisfa la classe industriale americana, né la classe operaia sindacalizzata, che vede nei provvedimenti adottati un ulteriore vantaggio nei confronti del prodotto “made in China”.
In questo panorama l’Europa, che rappresenta la maggiore economia mondiale, si è trovata ai margini della trattativa, piuttosto che nel ruolo di leader, che le spettava svolgere.
Jeremy Rifkin, famoso economista che teorizza la terza rivoluzione industriale, sostiene che queste decisioni non guarderanno mai al futuro se non si sposeranno dal piano della geopolitica, a quello della politica della biosfera.
Per dovere di cronaca è giusto ricordare che la biosfera è un involucro sottile – fra i 45 e i 60 chilometri – che si estende dal fondo degli oceani alla stratosfera e che contiene tutte le forme di vita esistenti sulla terra. E’ in questa ristretta fascia verticale di terra che le creature viventi e i processi geochimici interagiscono, favorendo lo sviluppo e la conservazione della vita, rendendo la terra stessa un organismo perfettamente autoregolato.
L’ambiziosa ipotesi di Rifkin è volta a sostegno delle scelte industriali che utilizzano le risorse rinnovabili degli ecosistemi lasciando intatte le basi della produzione, anziché consumarle con l’inquinamento.
E’ necessario pensare che ogni ipotesi di soluzione suggerita, le teorie economiche studiate, le soluzioni razionali proposte dagli uomini che fanno parte dei Governi, prescindano dal “concetto di potere” che domina l’uomo.
Secondo Umberto Galimberti il potere non si presenta mai come tale, ma può vestire l’abito del prestigio, dell’ambizione, dell’ascendente, della reputazione, della persuasione, del carisma, della decisione, del veto, del controllo e dietro queste maschere è difficile distinguere la spinta che spesso si nasconde: il controllo assoluto delle nostre condizioni di vita.
Ciò per continuare a sperare che l’impegno dei Governi che ci rappresentano non dimentichi mai la regola fondamentale, cardine di ogni decisione a favore dell’uomo, suggerita di recente da Michail Gorbaciovi: il ricorso all’etica!




L

Anto in libreria

LO SBALLO GIOVANE




I dati sono eloquenti: il 17.7% dei ricoveri per intossicazione riguardano ragazzi sotto i quattordici anni, e l’1,3% delle persone affette da dipendenza da alcool in carico presso i servizi sociali, ha meno di diciannove anni!
Come se ciò non bastasse a turbare i nostri sonni di genitori, arrivano gli esempi peggiori, da nord- Europa e Spagna dove impazza il “binge drinking” ( rito che imone bere sei bevande alcoliche in un’ unica occasione) , e il “butellon”, damigiana di vino rosso sfuso miscelato con sostanze alcoliche, da consumare in una “seduta collettiva” di piazza.
Perché i ragazzi bevono? E’ così nuovo questo fenomeno o è un passaggio terribile a cui siamo sempre stati esposti?
Forse è l’alto prezzo che impone il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, quel cono oscuro in cui si scatena la tempesta che rende un bimbo sordo alla voce che lo rendeva docile, un leone governato ormai più solo dalla sua febbre.
Lo “sballo” accompagna, così, l’età incerta, quella dell’inquietudine. Si diventa arroganti ma ci si sente inadeguati; si vive spensierati ma nell’estremo disagio; ci si sente audaci ma si cade nel più profondo sconforto.
La storia si ripete, per disgrazia e per fortuna, e quel passaggio scomodo che è l’adolescenza torna a ripetersi con gli stessi riti che, fin dall’antichità, segnano l’accettazione del fanciullo nella nuova comunità, esterna alla famiglia. Nelle antiche tribù si alterava il corpo, fino quasi a mutilarlo, per infondere nel ragazzo il senso del sacro e accostarlo alla dimensione della morte, per diventare adulto. Oggi, il corpo viene tatuato.
Nella tribù, affinché questo passaggio non fosse traumatico, veniva “guidato” da una figura adulta autorevole, che di solito era rappresentata dallo sciamano. Oggi, la nostra cultura non prevede più un ruolo iniziatico agli anziani, a causa dell’irreparabile frattura che si è creata tra le generazioni, e i ragazzi che vivono privi del supporto di miti, si affidano ai graffiti.
I giovani che dovrebbero essere i depositari delle speranze nel futuro, i protagonisti dei movimenti evolutivi e gli attori principali dei processi di trasformazione su cui punta la società per il proprio rinnovamento, nel corso della propria adolescenza possono più facilmente essere travolti dal nichilismo, lasciando che la tristezza e il disagio prevalgano sull’entusiasmo e la speranza.
Spesso questo disagio deriva dal messaggio che il mondo degli adulti trasmette nella nostra epoca, quella del pensiero debole e delle passioni tristi. Nasce, così, nel ragazzo, l’esaltazione della ricerca interiore che alimenta la solitudine e l’individualismo, il dolore e la disperazione, fino all’estrema attrazione verso la morte: il mito dell’eroe romantico.
Che cosa succede, dunque, nella psiche di un adolescente?
Raggiunge a fatica una nuova identità attraverso difficili fasi di profondo squilibrio, dovuto a pressioni psicologiche , biologiche e sociali, in un tunnel sospeso tra passato diventato improvvisamente remoto e futuro nebuloso,
In questo contesto emotivo i disagi familiari, gli insuccesi scolastici, l’insicurezza personale e la depressione rappresentano alcuni dei motivi per cui un ragazzo ricorre all’alcool , raggiungendo una percezione negativa di sé stessi e poca fiducia nelle proprie capacità.
Ma l’adolescenza rappresenta anche l’età in cui si acquisisce la capacità di pensiero sulla base di ipotesi, la facoltà al ragionamento ipotetico - deduttivo per cui un ragazzo impara a giungere dal particolare al generale e viceversa. Ragiona, esamina, sperimenta ogni possibile soluzione creando la condizione migliore affinché l’azione degli adulti stimoli al meglio la sua crescita e il superamento di ogni incertezza.
Per tutte le difficoltà che un ragazzo deve affrontare e per la sua straordinaria predisposizione a superarle, spetta al mondo degli adulti, famiglia e scuola, non lasciarlo privo di una guida che gli indichi la strada, che lo aiuti a far luce sulle sue possibilità, che gli insegni a non vivere da gregario e a non temer il peso delle responsabilità. Tutto uguale a ciò che accadeva in passato…..

Foto in studio dopo la diretta

LUXUS, una brillante intuizione




“Luxus” è la mostra che il 25 settembre 2009 è stata inaugurata a Torino, al Museo di Antichità; la rappresentazione del piacere nella vita della Roma Imperiale
Intelligentemente suddivisa in due nuclei, la mostra racconta il lusso della mente che contempla la passione per il teatro, la danza, la musica e il gioco, e il lusso di vivere che si esercita attraverso i piaceri effimeri della via quotidiana come la cura del corpo, li gusto per la tavola, la bellezza dei gioielli, l’arte dei profumi.
Il percorso del prezioso lusso della mente che “riesce a prescindere ogni manifestazione di ricchezza per poter essere accessibile a chiunque intenda coltivarlo”, si apre con un documento di straordinaria ricchezza e di sconcertante attualità: la “Lettera sulla Felicità” ( a Meneceo) di Epicuro.
Il pensiero di un filosofo che da ventitrè secoli non cessa di dirci che non può esistere autentica felicità senza il piacere. Un pensiero che, contrariamente a tanti altri, invita ad amare se stessi e, soprattutto, a rispettarsi, azione necessaria per non danneggiare i nostri simili.
La Lettera, che rappresenta uno dei pochissimi scritti che non siano stati distrutti nel corso della storia dell’odio ideologico, traccia il segno forte e colto di questa mostra che è un omaggio agli uomini, al loro amore per la vita, ad ogni loro debolezza effimera ma profonda. Straordinario appurare l’attualità di questo pensiero, la sua forza mantenuta nei secoli, l’intensità della parola di un pensatore tra i più amati e odiati di tutti i tempi, senz’altro il più mistificato, equivocato, vilipeso, il più temuto nella storia del Cristianesimo.
Epicuro apre brillantemente il percorso della mostra al cui ingresso domina la scena, la riproduzione di una statua marmorea che rappresenta un capolavoro ellenistico realizzato da Policle nel II secolo a.C. nella versione precedente al restauro avvenuto per mano del Bernini: Ermafrodito dormiente.
La struggente storia di Ermafrodito, magnifico essere dalla doppia natura, dona all’opera fascino struggente ed il suo magnifico corpo ambiguo, dalle forme sinuose, esercita una lusinga con la sua torpida mossa, mostrando la sua appartenenza ad entrambi i sessi.
Emblematica la scelta di quest’opera in una mostra dedicata al piacere; un’opera che rappresenta in maniera così suggestiva l’inconsapevole e palese bellezza, pur essendo stata, per anni, sottratta alla contemplazione pubblica, con l’accusa che tale ambiguità potesse turbare i più sensibili.
La mostra continua in un percorso sensoriale sonoro e olfattivo, un vero viaggio negli antichi sensi. Splendidi gioielli, essenze conturbanti, antiche ricette di bellezza in un clima solo apparentemente frivolo che, in realtà, offre l’opportunità di un magico viaggio nella cultura dell’antica Roma.
“Luxus” sarà esposta al Museo di Antichità di Torino fino al 31 gennaio 2010, dal martedì alla domenica, dalle 9.30 alle 19.30, escluso il lunedì.
Una bellissima mostra che parte da una brillante intuizione: il bisogno che ha l’uomo di continuare il percorso alla ricerca di sé.
Peccato per la mancata traduzione in inglese delle didascalie, peraltro difficilmente leggibili, nonché di guide audio – video, che rendono possibile la contemplazione delle opere senza l’inconveniente di “dover leggere” la loro storia.

Foto in redazione

IL RESTO E’ RUMORE. Ascoltando il XX secolo


Un “romanzo accademico” colto ed avvincente per spiegare la storia del Novecento ascoltando d analizzando la musica classica del XX secolo.

Ho letto un libro che ha segnato un tracciato più chiaro nella mia conoscenza della storia del XX secolo. Un libro che parla di musica. Finalmente è il senso della musica che aiuta a ripercorrere la nostra storia, anche se mai è potuto accadere il contrario. Si tratta di un ambizioso lavoro, pienamente riuscito, compiuto da Alex Ross, critico musicale del New Yorker, in cui l’autore ha cercato di riscattare la musica classica del Novecento vissuta spesso con diffidenza, addirittura disagio, dal grande pubblico.
I grandi artisti del secolo passato, da Egon Schiele ad Andy Warhol, da Gustav Klimt a Jean Michel Basquiat, hanno suscitato sempre notevole interesse tra gli intellettuali e nei confronti del grande pubblico; la musica del Novecento, invece, sembra non meritare tanto rispetto. Ciò accade nonostante la scandalosa produzione d’avanguardia di Arnold Schoenberg abbia ispirato le note delle colone sonore destinate ai più famosi thriller hollywoodiani. Nonostante gli accordi atonali siano stati la matrice da cui è nato il jazz.
Nonostante il minimalismo abbia aperto la strada al rock e al pop. Questo libro colto e straordinariamente scorrevole restituisce dignità e chiarezza alla musica del XX secolo e ripercorre il tracciato storico, segnato dall’avvento di due guerre, da profondi cambiamenti culturali, dalla disfatta e dalla rinascita del mondo occidentale. Ognuno di questi passaggi è narrato dalla musica che, nel contempo, è stata profondamente segnata dalla storia.
Un “romanzo accademico” che apre con il racconto della prima rappresentazione di Salomé , opera biblica e dissonante scritta da quel genio indiscusso che era Richard Strauss, artista che Ross definisce cinico, mondano, compiaciuto di sé.Strauss non esita a carpire l’ispirazione della crudelissima Salomé dal Vangelo di Matteo, in cui la principessa di Giudea danza per il proprio patrigno ed esige, senza condizioni, la testa di Giovanni Battista. Il compositore ne traccia la versione più moderna e impudica, prendendo spunto dal dramma scritto nel 1891 da Oscar Wilde; spettatore d’eccezione Adolf Hitler, allora sconosciuto ambizioso politico in erba che, nel corso della storia condizionerà non poco il percorso della musica.
La rappresentazione dell’opera fu un autentico scandalo e venne bandita dal Regio Teatro dell’Opera di Vienna : era iniziato il XX secolo!C’era un uomo accanto a Strass, un artista opposto a lui e a lui molto vicino: Gustav Mahler. Infantile, burrascoso, dispotico e pessimista, Mahler dividerà con Strass un rapporto continuo e continuamente carico di incomprensioni, e d lui dirà:”Scaviamo la nostra galleria da direzioni opposte, ma nello stesso monte. Finiremo con l’incontrarci”.Ogni passo di “Il resto è rumore” è avvincente e didascalico. Ben tracciato e spiegato il passaggio dalla musica tonale a quella atonale; dalla musica tardo-romantica di Mahler a quella scandalosa di Schoenberg, che presto si discosterà dagli insegnamenti di Alexander Zemlinsky, compositore raffinato di potente lirismo.
Superati i primi inebrianti lavori, vagamente ispirati a Debussy, in cui Schoenberg sembra ben rappresentare i ritratti dorati di Klimt,il compositore divampa nella musica atonale e scrive le opere che apriranno l’era degli scandali musicali. Alez Ross ben spiega nel suo libro che la causa di tanta ostilità, da parte del pubblico anche colto, risiede nella fisica del suono.Il suono, infatti è una vibrazione che attraversa l’aria, e riguarda il corpo come la mente. Tra gli intervalli incriminati c’è il semi-tono, ossia la distanza tra due tasti contigui del pianoforte. Se premuti contemporaneamente creano rapidi battimenti che infastidiscono l’orecchio, proprio come un lampo di luce.Quest’effetto “urticante” lo produce l’intervello di settima maggiore, leggermente più stretto di quello di ottava, e quello di nona minore, leggermente più ampio: gli intervalli di Schoemberg!.
Il secolo evolve , citando Eugenio Scalari, fino “all’avanguardia che tutto rinnega: l’assoluto, la ragione, il Romantik, la morale, il senso comune, il buon senso, l’ordine costituito, la democrazia. Ogni artista dell’avanguardia ha la sua visione dell’arte e della vita. Sono anime sofferenti, inquiete, malinconiche, iraconde, solitarie, a volte schierate su sponde reazionarie e altre volte innamorate di rivoluzioni totali”.Poi il confronto con la storia diventa duro e la musica dovrà fare i conti con le figure di Hitler e Stalin. Ross sa spiegare con correttezza ogni commistione tra musica e politica. Questo libro va letto, per cultura e per diletto. Perché ha ragione Ross: il materiale dodecafonico ultracompatto delle “Variazioni per pianoforte di Webern” si trasforma nel giro di una generazione, nel “Second Dream of the High – Tension Line Stepdown Tranformer”.
La notazione indeterminata di Feldman conduce per vie tortuose in “A Day in the Life” dei Beatles. Il processo graduale di Steave Reich si infiltra negli album dei Talking Heads e degli U2.Non mancano i consigli per gli ascolti e le letture scelte, con rimando al sito che permette l’accesso ad un guida sonora gratuita e a quello che fornisce un glossario di termini tecnici.Il libro non lesina suggerimenti dettagliatissimi su direzione, edizione, esecuzione di ogni opera, con gentile ossessiva precisione.Tutta la mia stima ad Alex Ross, che ha saputo tradurre in un piacevole messaggio la complessa cultura della musica classica del Novecento, e all’editore, Bompiani Overlook, per il coraggio di averci creduto.

PIU' GAS DOTTI… ..



Il gas rappresenta un’interessante risorsa energetica,in alternativa al petrolio. Quali sono i problemi?. Tanti,molti di natura geopolitica .

Nabucco non è solo l’opera che decretò il successo di Giuseppe Verdi. Oggi “Nabucco” è anche il gasdotto progettato dalla OMV ( austriaca), dalla Botas (turca e cofinanziato dall’Unione Europea.
Nabucco nasceva otto anni fa, quando sulla scena internazionale la Russia appariva ancora come un nemico militare a cui l’Europa tentava di limitare il potere contrattuale; pochi anni più tardi, quell’immenso continente è diventato un importante partner commerciale in grado di gestire con grande abilità le risorse naturali.
Il progetto è nato anche per garantire l’approvvigionamento energetico dell’Europa, in particolare di quei paesi che compongono il consorzio del gasdotto, ossia, Turchia, Bulgaria, Romania,Ungheria Austria e Germania.
Perché riservare tanto interesse al gas? Perché il gas naturale rappresenta un’ottima alternativa al petrolio,perché ha un potere calorico inferiore, costa meno e richiede meno lavorazioni intermedie. Inoltre, perché oltre ad essere una scelta a minore impatto ambientale,è disponibile in grandi quantità.Per tutte queste ragioni la richiesta di approvvigionamento si è estesa in Asia ( Cina,Giappone, Corea) e negli Stati Uniti, tanto da dare vita ad altri due importanti impianti: Nord e Sud Stream.
Ciò premesso, esiste l’interessante possibilità di assecondare la crescente richiesta europea di gas naturale( 406 miliardi di metri cubi nel 2009, che potrebbero diventare 637 nel 2015) a buon prezzo.Qual è, dunque, l’ostacolo che impedisce una soluzione apparentemente semplice?
Secondo Giacomo Goldkorn, analista politico e grande esperto di problematiche di importanti multinazionali, il problema risiede nel fatto che la gestione dei grandi gasdotti richiederebbe una politica energetica comune a tutti i paesi europei. Nella realtà, invece, ogni paese provvede singolarmente (o al massimo prendendo parte a piccoli consorzi) al proprio approvvigionamento di gas,secondo progetti slegati che creano caos. La logica diventa quella di agire secondo i singoli interessi di ogni paese, per cui, per esempio, la tentazione di Russia e di “Gazprom” diventa quella di bypassare Ucraina, Polonia e Bielorussia per non pagare le royalty che spettano di diritto ai paesi che ospitano gli impianti.A tale scopo il gasdotto Nord Stream collega direttamente Russia e Unione Europea a differenza di Sud Stream che, piuttosto che attraversare paesi costosi, percorre il Mar Nero.
L’ansia europea di eccessiva dipendenza dalla Russia ha spinto, così, Bruxelles a generare “Nabucco”, ma i problemi non sono finiti.Un ruolo importante è svolto dalla Turchia, alleata con Israele e importane roccaforte del mondo islamico moderato, che è membro della Nato ma che non è ancora entrata a far parte dell’Unione Europea : nulla di più probabile che far pressione su Nabucco per riuscirci!
Un altro grande motivo di preoccupazione, oltre il posizionamento degli impianti è rappresentato dall’approvvigionamento dei condotti.
Il paese più ricco di gas è il Turkmenistan, che a sua volta propende per l’impianto realizzato a Eni e “Gazprom” ( Sud Stream), lasciando che il fornitore più probabile per Nabucco resti l’Iran. La fornitura dovrebbe, dunque, percorrere i territori compresi tra Georgia e Azerbaijian, con tutti i rischi che ciò comporterebbe.Fin dal suo concepimento, dunque, Nabucco si trova in una posizione di competizione con Sud Stream, con l’arduo obiettivo di fronteggiare il monopolio di Gazprom.
Neppure la recente proposta avanzata dal Presidente di Eni, Scaroni, di unificare l’ultimo tratto dei due impianti ha avuto esito positivo, visto che il Presidente di Gazprom, Alexey Miller, ne ha escluso la possibilità. Tenuto conto, ancora, dell’alta possibilità di attentati terroristici, delle estreme difficoltà tecniche nella realizzazione degli impianti ( vertiginose profondità per gli scavi, ambiente abiotico, minima visibilità e gelide temperature), nonché della presenza di mine e sostanze tossiche scaricate nel corso degli anni, il gas richiede ingenti investimenti economici.
Basterebbe pensare che la nave posatubi semisommergibile “Castoro 6”, di appartenenza alla Saipem e impegnata nell’impianto Nord Stream ,produce un costo pari a 400.000 euro al giorno e quella impegnata nel Mar Nero, “S7000”, fino a 700.000. Per di più, i tre grandi progetti sono nati in un periodo in cui si credeva economica che la crescita non avrebbe conosciuto arresto, mentre la crisi attuale ci pone di fonte alla possibilità di una sovraccapacità produttiva.
E l’Italia, come partecipa a questa corsa al gas naturale? In prima linea, visto che si pone come partner commerciale in Nabucco, come promotore in Eni per Sud Stream e come partner strategico in Saipem, per gli impianti offshore.
Il gas rappresenta, dunque, una splendida risorsa energetica ma piena di difficoltà e molto costosa. Tanto quanto basta da rendere estremamente necessaria una politica energetica unitaria, tutta da inventare… .

lunedì 8 novembre 2010

SCHIELE, GENIO STRAZIATO



E’ stato un bambino introverso e già talentoso, un adolescente turbato di un’irrequietezza diventata angoscia in seguito alla precoce morte del padre. Da allora il senso di morte sembra segnare tutta la produzione artistica di Egon Schiele fino al rasserenamento che precede la sua scomparsa, all’età di ventotto anni.
Dotato di straordinario talento, incarna il prototipo dell’artista isolato e maledetto: il percorso di vita dal carcere alla morte precoce, il lacerante dissidio tra perbenismo borghese e sessualità, il dolore mai arginato per la morte del padre. In realtà, Egon Schiele ben rappresenta la rivoluzione espressionista del suo tempo, inserendosi perfettamente nel circuito artistico della Vienna di inizio Novecento.
Fortissima fu l’influenza che Gustav Klimt esercitò nella vita e nella produzione artistica di Shiele. Klimt è considerato colui che portò alle più radicali conseguenze qui fenomeni dell’arte del tempo comunemente indicati come “simbolismo” e come “ pittura dell’Art Nouveau”. Si parla di “enigma” della sua grandezza, quella che risiede nella straordinarietà della sua arte; il fatto cioè che egli arrivò ad una sintesi delle due fondamentali tendenze artistiche dell’epoca, tra loro affini ma ben distinte, quali il Simbolismo e l’Art Nouveau.
Le prime opere viennesi di Schiele riflettono, così, lo stile del grande Klimt sia a livello compositivo, attraverso formati insoliti e spazi vuoti, sia nell’esecuzione, contraddistinta da una certa attenzione decorativa. Così i suoi “Fiori stilizzati su fondo decorativo “ ricordano lo stile raffinato delle opere di Klimt, l‘uso dell’oro e dei particolari decorativi.
Presto, però, Schiele smette di emulare il “grande Klimt”, pur mantenendo con lui un ben saldo rapporto di amicizia e stima artistica.
Inizia la prolifera produzione di disegni erotici ( commissionati soprattutto da collezionisti particolari in periodi di disagio finanziario) e, benché la pornografia fosse molto diffusa nell’Austria dell’epoca, le sue immagini risultano particolarmente scioccanti. I nudi di Klimt emanano senso del piacere, quelli di Shiele provocano malessere facendo mostra di corpi emaciati, spigolosi e a volte sgraziati. Otto Benesch a tal proposito disse: “ Ciò che in Klimt è musica di inebriante dolcezza e magia lirica diventa in Schiele stridula, brutale dissonanza, una visione demoniaca”.
Il confronto con “il maestro” diventa gioco ; Schiele si diverte a contrapporre al famosissimo “bacio” di Klimt, la sua opera irriverente “ Cardinale e monaca”, in cui l’aura dorata rappresentata nell’opera più sacra di Klimt viene sostituita con un triangolo verdastro e le tessiture decorative ,da un incastro di superaci nere e rosse.
La mostra allestita al Palazzo reale di Milano fino al 6 giugno 2010 ha offerto altre tele di “nudi eclatanti” come “Nudo femminile” e “ Ragazza inginocchiata appoggiata ai gomiti”, “Donna distesa” e “Figura accovacciata con foulard verde”. Una forte componente simbolica è presente in tutte le altre opere in cui i temi sono fondamentalmente il sesso, l’ambiguità, il dolore e la morte come negli “Eremiti”e La madre morta”. Sembra emergere un’identità segreta e tenebrosa attraverso visioni angoscianti ed un senso di alienazione che ricorda quello dell’”Urlo” di Munch.
Eppure le tele di Schiele rapiscono l’anima; sembrano nascere per gioco, come guidate dalla mano di uno spettro, da un’assoluta disinvoltura dell’artista e invece i suoi occhi penetrano il modello fino al punto di percepirne ogni muscolo e ogni nervo, mettendone in luce l’anima.
La mostra non ha trascurato di rappresentare parallelamente il quadro politico e culturale di una Vienna in fermento, sull’orlo di un inevitabile declino, ignara di contribuire alla formazione di un uomo che, di lì a breve, avrebbe segnato il destino del mondo : Adolf Hitler.
Il percorso artistico allestito al Palazzo Reale di Milano era permeato del grande contributo che alla civiltà e all’arte apportarono le opere di Sigmund Freud, la musica da Gustav Mahler a Arnold Schonberg, il teatro di Arthur Schnitzler.

L’ARTE NARRA IL CLIMA CHE CAMBIA


Si è tenuto, ormai da tempo, a Copenhagen il vertice che doveva essere decisivo per il futuro del mondo, le cui soluzioni il mondo attendeva con il fiato sospeso. Attesa inutile, purtroppo
La stampa universale ci aggiorna circa le soluzioni proposte dai Grandi della Terra in merito alla riduzione delle sostanze inquinanti, all’efficienza energetica, alle energie rinnovabili, al riciclo dei rifiuti, al blocco delle deforestazioni. L’ informazione dilaga per descrivere il crescente impegno degli Stati nel campo della ricerca ambientale e nella speranza che si fortifichi una “cultura dell’attenzione” di massa.
Grande è l’aiuto, in questo senso, che può giungere dall’arte, in ogni sua potente manifestazione, attraverso l’indelebile segno del suo linguaggio. Basta pensare all’efficacia del fim di Roland Emmerich “2012”, in cui si anticipa di tre anni la tragica profezia Maya , o al graffio di “ The day after tomorrow”, in cui l’uomo è causa della sua fine, in virtù del surriscaldamento globale .Nicholas Cage in “Knowing” (Segnali dal Futuro) decifra un messaggio contenente la cronaca esatta di tutte le catastrofi avvenute nel nostro bersagliato pianeta, negli ultimi cinquanta anni.
Immagini ricercate, suoni perfetti, effetti speciali, trame scritte per generare terror panico, sono strumenti che il cinema ha usato per contribuire alla costruzione di una coscienza collettiva del danno inflitto alla Terra.
L’uomo è libero, ma la libertà non è una prerogativa dell’anima o della volontà di discernimento e la mancanza di un codice etico ne genera un’instabilità inquietante. Anche il cinema può ricordarcelo. Per compensare la mancanza di codici l’uomo ne ha costruiti di suoi , come quelli religioso per poter attribuire gi eventi ai dèi e quando “il cielo si è fatto vuoto” , la filosofia ci ha “fornito” la logica e l’etica. Anche il cinema può insegnarcelo.
Se è vero, invece, che la parola ecologica è nata nel 1866 ad opera del biologo tedesco Ernst Haeckel , è diventata poesia quando, nel 1968, l’uomo vede la Terra sospesa nello spazio. Milioni di testi, poesie, racconti sono stati scritti per narrare l’avventura del viaggio sulla Luna , il trionfo di una società tecnologica, che con le cosmonavi e i calcolatori elettronici, cambia perfino la morale e i sentimenti.
Oriana Fallaci scrive, così, “Se il sole muore”, uno splendido libro che racconta, attraverso una polemica nostalgica ed amara con suo padre, l’abisso che divide due generazioni: i vecchi ,tenacemente ancorati al passato e, dunque, alla Terra e i giovani, tesi verso un domani di orizzonti vertiginosi, carico di nuovi miti ed illusioni.
Un razzo lanciato nel cosmo rende la Terra troppo piccola, un uomo in viaggio verso la Luna per dominarla, supera la fantasia. Scetticismo, paura, esaltazione non è altro che la disperata ricerca di un ideale. La straordinaria sensibilità, ruvida e poetica , di Oriana Fallaci ne disegna il percorso in un libro straordinario.
La musica diventa vita quando uno dei più grandi direttori d’orchestra in Italia, dopo Toscanini, accetta d’interrompere un’assenza durata 23 anni, in virtù di un nobile patto. Claudio Abbado è tornato a dirigere la Filarmonica della Scala perché le istituzioni hanno promesso di regalare 90.000 alberi a Milano, la sua città.
L’Arte ci conduce alla scoperta di noi, il suo linguaggio fa luce soprattutto quando c’induce a costruire il futuro guardando al passato, secondo l’immagine trasmessa dagli antichi Greci: il cammino all’indietro di un uomo volta verso l’ignoto.

IDOMENEO


Idomeneo giunge ai giorni nostri attraverso molteplici fonti:
Re di Creta, figlio di Deucalione, nipote di Minosse e Pasifae, Idomeneo viene descritto da Omero, nell’Iliade, come uno dei pretendenti di Elena, eroe indiscusso della guerra di Troia.
Virgilio ne descrive, nell’Eneide, il ritorno in patria, dopo la caduta di Troia; nell’Europa del Settecento, invece, il nome di Idomeneo evoca uno dei libri più letti dell’epoca, il romanzo pedagogico “L Aventures de Télémaque “di Fénelon.
Il libro, scritto da un illustre teologo del tempo, venne commissionato al fine di educare il giovane nipote di Luigi XIV, destinato alla possibile successione al trono. In breve tempo divenne il più ricco contributo alla formazione delle idee politiche di tutta la classe colta, il primo vero impulso alla Rivoluzione Francese.
Nel periodo compreso tra il Sei ed il Settecento, il ritorno in patria dell’‘eroe troiano diede luogo a numerose drammatizzazioni; la commissione per un’opera da rappresentare a Monaco giunse a Mozart nell’estate del 1780.
Anche Mozart restò segnato da alcuni passaggi filosofici del romanzo di François de Saignac de la Mothe-Fènélon che trattavano i temi di giustizia , tolleranza, libertà ed uguaglianza. Tracce riscontrate dai critici nell’opera “Idomeneo”, come anche in “Re pastore”, “Clemenza di Tito”, “Il Ratto del Serraglio” e, sopratutto, nel “Flauto magico”.
L’opera di Mozart è stata rappresentata al Teatro Regio di Torino ed è stata realizzata in co-produzione con il Teatro Comunale di Bologna e il Teatro Carlo Felice di Genova.
Idomeneo è la prima opera rivoluzionaria del genio della composizione, pur nel suo carattere tradizionale racchiudendo, così, contrasti musicali di grande seduzione. Lo stile antico di Mozart si alterna a quello moderno, le arie di Idomeneo e quelle di Ilia danno vita a un’opera cupa e, nel contempo, festosa; i cori drammatici rincorrono quelli danzanti.
L’opera rappresentata a Torino non ha rispettato completamente tanto dualismo, indugiando nel sottolineare la tragicità dell’opera e smorzandone i contrasti musicali e visivi. I cantanti hanno regalato una buona esecuzione e l’insieme ha offerto momenti suggestivi. ll pubblico, tuttavia, ha risposto con applausi contenuti più per storica compostezza sabauda che per mancato entusiasmo.

LA SCIENZA VA RISARCITA


A volte si scrive per volontà di risarcimento, perché a volte il mondo del giornalismo rinuncia ai criteri di giustizia per lasciar spazio alle ben più forti esigenze editoriali.
E’ una riflessione che sorge spontanea dopo che si è chiusa la settimana dedicata all’attribuzione dei Premi Nobel, e dopo un’attenta analisi degli spazi che la stampa ha riservato ad ognuno dei premi, evidentemente considerati non equamente prestigiosi….
Il Premio Nobel per la Medicina 2010 è stato assegnato a Robert Geoffrey Edwards, fisiologo della riproduzione ed embriologo britannico, padre della tecnica della fecondazione in vitro.
La notizia dell’assegnazione ha guadagnato la prima pagine di uno dei più diffusi quotidiani, ma non per lo straordinario progresso raggiunto dalle sue scoperte nel campo della riproduzione, quanto per i giudizi negativi espressi dalla Chiesa, per l’uso eticamente non corretto che l’uomo potrebbe fare del risultato raggiunto in laboratorio.. Come se l’ultimo modello di autovettura dotato di scocca a prova d’incidente foss condannata perché con la stessa ognuno potrebbe investire volontariamente un passante!.
Il Nobel per la Fisica consegnato a Andre Geim e Konstantin Novoselov , due ricercatori dell’Università di Manchester, ha ottenuto solo 1 pagina (23) del quotidiano in esame. Il loro impegno è stato premiato per aver dato vita al “grafene”, materiale derivato dalla grafite e costituito da uno strato sottilissimo di atomi di carbonio, avente lo spessore equivalente alle dimensioni di un atomo.
La proprietà di questo straordinario materiale risiede nelle sue incredibili capacità di conduzione elettrica; il suo impiego rivoluzionerà il mondo dei computer quantistici, dispositivi touch screen, pannelli luminosi e celle solari.
Il Nobel per la Chimica, all’interno del suddetto quotidiano, non è stato neppure citato. Per la cronaca, è stato assegnato all’americano Richard Heck e ai giapponesi Ei-ichi Negishi e Akira Suzuki per i loro studi sulla sintesi organica, in particolare, per una tecnica che permette di creare sintesi molecolari complesse quanto quelle rilevabili in natura. Di ciò godrà l’industria, dalla farmaceutica all’elettronica.
Il Nobel per l’Economia, assegnato a Peter Diamond, Dale Mortensen e Chris Pissarides per i loro studi su politiche economiche e disoccupazione, ha ottenuto un articolo a pagina 13, come se i temi della disoccupazione e della difficile gestione della spesa pubblica non possano essere considerate tra le principali piaghe di ogni paese.
Inutile soffermarsi , invece, i sui Premi assegnati alla Pace e alla Letteratura : hanno ottenuto tutto lo spazio che meritavano.
E’ analizzando questi squilibri mediatici che si comprende quanto conti, per la stampa, che la notizia sorprenda o sconvolga, lasciando cadere ogni prezioso intento informativo e divulgativo.
Per esempio, avrei voluto fortemente essere tra i cento giornalisti invitati al Cern il 30 marzo 2010 per un esperimento di straordinaria importanza.
L’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare ( CERN) è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, situato al confine tra Svizzera e Francia, nato dalla convenzione tra 12 stati membri che oggi sono diventati 20 ( più alcuni osservatori).
E’ una struttura nata per fornire ai ricercatori gli strumenti necessari nel campo della ricerca in fisica delle alte energie.
Il 30 marzo si poteva assistere in diretta alla collisione di particelle che si scontravano ad energie mai raggiunte prima: due fasci di particelle da cento miliardi di protoni l’uno, producendo urti dell’energia di 7 mila miliardi di elettroni.
Il risultato ottenuto è pari a tre volte e mezzo a quello ottenuto dal più potente acceleratore di particelle finora esistente , ossia, quello di Fermilab di Chicago.
L’esperimento di è trasformato in un evento mediatico di straordinarie proporzioni: giornalisti da tutto il mondo, 700 mila computer collegati per seguire il webcast in diretta, notizie continue rimbalzate per giorni su Twitter.
La cosa più sconvolgente, però, è stato scoprire, attraverso la candida confidenza di alcuni inviati, che lo spazio dedicato alla notizia poteva avere due misure: due colonne in caso di successo e un’intera pagina, in caso di fallimento!
Inutile aggiungere commenti…. Doveroso, però, ricordare che l’acceleratore Large Hadron Collider del CERN di Ginevra, attraverso gli esperimenti volti alla ricerca di particelle elementari, rappresenta una delle poche possibilità che i ricercatori hanno per dare un’indiretta conferma alla “Teoria delle Stringhe”, “l’unico grande puzzle della fisica”.
L’obbiettivo ambizioso di questa teoria è quello di unificare la relatività generale, che affronta la gravità e lo spazio, con la meccanica quantistica, che spiega gli eventi a livello nucleare.
Edward Witten, medaglia Fields nel 1990, spiegò che per questa teoria ,non ancora pienamente elaborata , serviranno ancora molti anni per raggiungere una descrizione precisa definendola “ un pezzo di fisica del XXI secolo che si è trovata per caso nel XX”:

UN EROE ROMANTICO - TANCREDI


Tancredi, opera nata sulle scene della Fenice di Venezia il 6 febbraio 1813, fu la prima opera di Gioachino Rossini rappresentata al Teatro Regio di Torino.
Tratta dalla tragedia di Voltaire, quest’ opera malinconica e brillante incanta con le prodezze e le fragilità di Tancredi, eroe siracusano, discendente dell’antica famiglia regnante.
La sua forza sta nell’amore incondizionato per Amenaide, il suo rammarico è volto alla patria ingrata dalla quale è stato esiliato.
Daniela Barcellona ben rappresenta la spavalderia e la generosità di Tancredi, la sua fedeltà all’amata con il vigore e la forza necessari. Questa splendida interprete affronta senza paura, con grande precisione,le acrobazie canore che Rossini impone, offrendo un Tancredi indimenticabile. Ottima performance anche quella di Manuela
Kuster nel secondo cast.
E’ difficile rappresentare un eroe, ancor più se donna. Segnare di sentimento le volatine, mostrando la presenza scenica di un uomo vigoroso. Sferzare colpi di spada e non lasciare che la voce cali in un gorgheggio. Affascinante se tanto talento si mostra sul palcoscenico.
Leggera e precisissima l’interpretazione di Patrizia Ciofi alle prese con la trepidante amorevolezza di Amenaide. Anche qui la voce di questa grande artista passa dal registro acuto a planate vertiginose, passando per virtuosismi magici.
La forza della storia dell’opera poggia su due “colonne”: la sacralità della guerra, l’incontrovertibilità dell’amore.
La guerra, per apparire “giusta” viene caricata di sacralità tanto da espandere senza misura il suo potenziale distruttivo. Il conflitto finisce con il coinvolgere non solo gli interessi dei belligeranti, ma la loro identità, la loro cultura, la loro fede. L’eroe diventa, dunque, una figura irrinunciabile che non prevede “alternative”, se non l’annientamento dell’avversario o la propria morte.
Ecco che nel secondo atto, quando si mette in scena l’approdo dell’eroe e del suo seguito, arriva il duetto Tancredi - Agirio che Stendhal definisce di “ ardore bellicoso e cavalleresco”, contraddistinto dal passaggio dal tono malinconico a quello eroico.
L’altro cardine della storia prende forma nell’amore disperato di Tancredi per Amenaide, e il momento di più profondo dolore è cantato nel finale ambientato in vista dell’Etna “ Ah, Che scordar non so colei che mi tradì…. L’adoro ancor dunque penar dovrò, languir ognor così! Povero cor!”. La conclusione dell’opera creò al compositore notevoli problemi di architettura ma il preludio della prima parte è di struggente bellezza , il finale un momento altamente suggestivo.
Il fascino dell’allestimento di questo Tancredi deriva da un gioco stilizzato, quasi naif, che ben sottolinea l’aspetto innocente dell’opera.
L’introduzione di marionette crea un contrasto magico: battaglioni i pupi siciliani che sembrano guerrieri malinconici, ricordano le marionette giapponesi del bunraku.
Sembra Luzzati, ricorda l’eleganza di Pizzi, ma lo stile di Yannis Kokkos risulta personalissimo ed efficace, suggestivo.
Rappresentata da un grande cast, diretta dal Maestro Kristjan Jarvi, l’opera è andata in scena al Teatro Regio di Torino nel novembre 2009, ma si tratta di un nuovo allestimento in co-produzione con il Teatro Real di Madrid, il Gran Teatre de Liceu di Barcellona ed il Teatro della Maestranza di Siviglia. Non bisognerebbe perderla.

NUCLEARE - RISCHIO REALE E RISCHIO PERCEPITO

Si è aperto di nuovo il dibattito circa il ritorno all’uso di energia nucleare, è di nuovo guerra tra le istituzioni.
Sono cambiate molte cose dall’8 novembre 1987, quando l’Italia rinunciò al nucleare, un anno e mezzo dopo il grave incidente di Chernobyl ; ora diventa forte il bisogno di tornare a riflettere su quella scelta, nell’intento di tutelare l’ambiente in cui viviamo e, nel contempo, dare un futuro alle nostre politiche energetiche.
Lasciando che il dibattito circa i vantaggi e i problemi che questa fonte d’energia può comportare sia affidato ai tecnici competenti, a noi resta la possibilità di valutare i percorsi che la politica ha compiuto nei confronti del nucleare e il nostro rapporto con la paura verso il rischio reale, e non solo quello percepito, a cui questa scelta ci espone.
La politica dichiarò battaglia al nucleare soprattutto dopo la tragedia dell’impianto ucraino e tutti gli schieramenti, da destra a sinistra, si proclamarono a sfavore, compreso il Pci fino ad allora filonucleare.
Eccezione furono il Partito repubblicano e quello liberale.
Tutti assolutamente convinti della bontà delle ragioni “contro”’? Forse no, ma era troppo impopolare continuare a sostenere il ricorso ad una fonte che nell’immaginario collettivo rappresentava un tabù e, i pochi coraggiosi che osarono, subirono l’isolamento e l’ostracismo dei più.
Da allora si smise di valutare con obiettività il ricorso al nucleare, e iniziò una vera strategia del terrore.
Nel luglio del 2007 in Giappone, terra fortemente sismica, un terremoto colpì la zona in cui si trova la centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa. I reattori si autobloccarono correttamente, come previsto dal sistema di sicurezza, e vi fu una fuga di materiale radioattivo, tanto piccola da non comportare alcun pericolo alla popolazione circostante. Tuttavia, nella corsa verso un sistema assolutamente perfetto, il governo giapponese ordinò un’inchiesta. Nonostante le proporzioni dell’accaduto, la stampa internazionale diede clamore e risalto all’incidente mentre, paradossalmente, in quei giorni venivano pubblicate le ultime stime degli incidenti mortali causati dal traffico.
Per avere un’idea sommaria delle cifre su cui stiamo riflettendo, basterebbe sapere che le vittime dell’auto sono 6.000 l’anno, 60.000 in dieci anni, 120.000 in venti; peggio di una guerra, dunque, se si pensa che i soldati americani morti nella guerra in Iraq sono meno di 4.000…
Eppure, chi si mette alla guida di un’auto non pensa di partecipare ad una guerra; allo stesso modo, non chiuderemmo mai nostro figlio in una centrale nucleare, ma spesso ci sembra normale regalargli un motorino…
La nostra percezione del rischio e la conseguente disponibilità ad affrontarlo dipende soprattutto dalla “illusione del controllo” in forza della quale non esitiamo a guidar la nostra auto ma ci sentiamo in pericolo a bordo di un aereo, senza valutare che i rischi di incidente nel secondo caso sono infinitamente più bassi. Ci rassicura l’idea che la sicurezza dipenda da noi e questa certezza ci impedisce di tener presente i progressi raggiunti dalla ricerca nucleare in merito alla direzione degli impianti e alla minimizzazione dell’impatto ambientale, di cui i rifiuti radioattivi costituiscono la parte più problematica.
Numerosi autorevoli sostenitori del movimento ambientalista in tutto il mondo hanno portato avanti la battaglia al nucleare e poi hanno cambiato opinione, come James Lovelock, vero e proprio guru del “pensiero verde” e Patrick Moore, fondatore di Greenpeace. In Italia Chicco Testa, manager, docente universitario, membro del Parlamento dal 1987 al 1994, giornalista del “Sole 24 ore” e soprattutto fondatore, tra i più illustri di Legambiente.
L’intervento della politica in materia di nucleare non ha mai rappresentato una soluzione ma, piuttosto, un paradosso. Per esempio, il Consiglio dei Ministri, nei giorni scorsi, ha impugnato le leggi che Campania, Puglia e Basilicata hanno varato per impedire la costruzioni delle nuove centrali nucleari sul proprio territorio, adducendo che tale scelta spetti a Roma.
Paradossale che un un governo federalista impugni davanti alla Corte Costituzionale le leggi di tre Regioni imponendo, così, il potere centrale su quello locale. Paradossale che tale decisione, proposta la ministro dello Sviluppo Economico sia condivisa dal ministro per gli Affari Generali…
E, ancora, che le tre regioni in questione siano governate dal centrosinistra, soprattutto la Puglia che attualmente detiene in Italia il primato della produzione di energia solare ed eolica.
Paradossale è pensare che Enel oggi rappresenti una delle principali compagnie elettriche del mondo, di cui azionista di riferimento è ancora lo Stato Italiano. Enel ha acquisito altre compagnie elettriche europee che hanno nel loro mix energetico anche la produzone da fonte nucleare.
Valgano da esempio la centrale slovacca Slovenské Elektrarne e la società spagnola Endesa, i cui impianti nucleari contribuiscono per il 15 per cento alla produzione elettrica totale di Enel. Inoltre, importanti accordi di collaborazione sono stati siglati con EDF , il maggiore produttore al mondo di energia nucleare, per la costruzione di un reattore di nuova generazione mentre sono in corso accordi per arrivare alla compartecipazione nella proprietà di centrali nucleari russe. Che ne è stato, dunque, dell’esito del nostro referendum che oggi impedisce il ricorso a questa risorsa energetica in Italia?
Gli schieramenti politici, di destra e di sinistra, non offriranno mai una soluzione trasparente e super partes alle politiche energetiche ed ambientali fino a quando non oseranno imporre decisioni razionali e coraggiose, anche se impopolari.
Il consumo mondiale di energia continua a crescere fomentato da tre miliardi di consumatori, soprattutto nell’Asia del miracolo economico. Le fonti rinnovabili sono destinate a restare minoritarie ancora per molti decenni. Il carbone ed il petrolio esercitano la loro tirannia nel mondo sprigionando, nel contempo, milioni di tonnellate di CO2, tonnellate di ceneri tossiche , zolfo d altri inquinanti che inacidiscono le piogge. Le nostre economie sono sempre più vulnerabili al prezzo del petrolio.
Il resto del mondo ha già fatto la propria scelta a favore del nucleare.
IL suo rifiuto in Italia sembra mettere in evidenza il fragile sistema di una leadership, di qualunque colore sia. Dovremmo innescare il processo di “stabilizzazione” attraverso l’uso della logica e dell’etica, abbattere i tabù che segnalano le “azioni proibite”, ridurre gli spazi di conflittualità politica, secondo l’antico insegnamento dei classici da Platone a Kant, passando per Tommaso d’Aquino, fino a Gehlen……

PER L'ALTO MARE APERTO - Un libro necessario


L’epoca della modernità racchiusa in quattro secoli densi di avvenimenti storici e letterari.
Un susseguirsi di sperimentazioni, senza perdere l’identità. Uno scrittore colto che sa emozionare scavando nella vita interiore di personaggi illustri, e nella nostra, con un sguardo che non si può dimenticare.


Fui rapita, definitivamente, da Eugenio Scalfari scrittore quando lessi la più bella definizione dell’”io” che per anni avevo inutilmente cercato nei meandri della mia confusa vita interiore :
“Proprio sulla soglia dei quarat’anni una delle mie certezze andò in pezzi: quella che l’io non possa cambiare , che la sua forza stia tutta nella sua immodificabile coerenza.
Cambiano gli spiriti deboli sotto la spinta delle emozioni e dei fatti che ci assediano dall’esterno; ma gli spiriti forti si rafforzano proprio perché non cedono né ai venti tempestosi né al canto delle sirene.
Non avevo messo in conto che il sé è assai più forte della ragione.”
Non ho esitato a leggere il suo ultimo libro: Per l’alto mare aperto.
Uomo di grande cultura, Scalfari ha saputo tracciare i confini, sconosciuti alla maggior parte di noi, della modernità, e con la sensibilità che lo contraddistingue ha trascritto dialoghi immaginari con Montaigne, Diderot ed alcuni dei personaggi più illustri di un periodo che racchiude quattro secoli. Ha affrontato l’arduo compito di descrivere un’epoca che comprende l’Illuminismo ed il Romanticismo arrivando fino alle avanguardie e al nichilismo; un’epoca in continua sperimentazione, che ha saputo accettare i moti delle nuove generazioni senza perdere la memoria…
Il viaggio immaginario inizia con una delle più importanti figure dell’Illuminismo, Denis Diderot.
Fu filosofo, scrittore, saggista francese a cui Scalfari affida l’inizio della “modernità”con un’av-
vincente disquisizione sulla verità relativa contrapposta all’assolutezza, sulla Ragione come caratteristica essenziale degli uomini dell’Illuminismo, con le rimostranze di d’Alembert che annuncia il suo ritiro dai lavori de l’Enciclopedia, per le gravi accuse di sovvertimento che gli vennero mosse per aver partecipato al gruppo di lavoro che contemplava Rousseau, Voltaire Grimm.
Il dialogo continua con il credente Montaigne, a cui lo scrittore affida l’intricato nodo contenuto nel tema della libertà e del libero arbitrio, nonché del “servo arbitrio” che può crearsi “ tra l’uomo e il suo Creatore o tra un uomo ed un altro che ne sia in qualche modo dominato”, come verrà spiegato nell’Apologie de Raymond Sebond, parte centrale del secondo libro degli Essais
Per Scalfari libro di Montaigne, che lo scrittore riscrisse più volte, e a cui più volte appose correzioni, tagli e aggiunte, rappresenta l’icona del pensiero moderno, il suo culmine.
A gli Essais tutti gli autori successivi saranno debitori, da Descartes a Spinoza, da Kant a Goethe
e tutti troveranno posto nel concetto espresso da Montaigne:” I mondo non è che una continua altalena….”
La “modernità” passa attraverso Il Discorso sul metodo di Cartesio L’Etica di Spinoza, La Critica della Ragione Pura di Kant e la Fenomenologia dello spirito di Hegel . E’ un secolo che vedrà l’opera di Newton e in cui Adam Smith scriverà la Ricchezza delle Nazioni . Verranno scritte tre opere che assurgeranno a simbolo del romanzo : La Certosa di Parma di Stendhal, Guerra e Pace di Tolstoy e I Miserabili di Hugo.
Segue il Romanticismo e la figura la cui opera si è espressa nella poesia lirica, nel teatro, nella narrativa, nella scienza e nell’opera comica rappresentando la sintesi tra passionalità e ragione , intuizione e logica, impegno artistico e quello civile: Wolfgang Goethe. Nel suo Faust al centro della disputa tra Dio e il Diavolo, si pone il dilemma del libero arbitrio dell’uomo.
Grande risalto Scalfari rende a Rainer Maria Rilke, poeta vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, che seppe disegnare nelle sue opere figure inquietanti di grande carisma, al pari dei personaggio di Proust, Joyce e Kafka.
Eugenio Scalfari chiuderà il tempo della “modernità” ben rappresentando il Nichilismo e la Rivoluzione. Dedicherà il finale a Zarathustra e gli “ultimi fuochi” a Italo Calvino.
Mille citazioni colte, aneddoti sconosciuti, riflessioni necessarie a capire il tramonto di un’epoca e l’inizio di quella nuova. Perché la storia non finisce, “finchè l’Homo sapiens riuscirà a guardare il cielo stellato e a cercare dentro di sé la legge morale”.

TERRA MADRE - La più efficace delle rivoluzioni


Come è nata Terra Madre?
Da qualche anno Slow Food organizzava un Premio in difesa della biodiversità, che dal 2000 al 2003 è stato assegnato a semplici contadini, pescatori o artigiani del cibo fino ad allora, impegnati a salvare una, seppur piccola, porzione di biodiversità.
Si trattava di un pugno di contadini provenienti da circa ottanta paesi attraverso la segnalazione di un folto gruppo di giornalisti votati alla causa. Storie incredibili di posti sperduti, la cui importanza richiedeva la necessaria sensibilità ad intercettarla.
Ogni quattro anni la consegna del Premio prevedeva una grande riunione tra i giornalisti provenienti da tutto il mondo, con il conseguente sforzo organizzativo ed economico che poteva derivarne.
Carlin Petrini, Presidente di Slow Food, pensò che fosse molto più interessante radunare tutti i contadini direttamente impegnati nel lodole tentativo di salvaguardare la biodiversità, piuttosto che la stampa eternamente presente ad ogni evento.
E’ nata così Terra Madre, captando l’attenzione di tanti popoli semplici e splendidamente diversi, accolti in comunità rurali e di accoglienza, piuttosto che in fredde stanze di hotel, riservate ad anonimi convegnisti.
Nella sua quarta edizione ( 2010) Terra Madre é diventata una manifestazione partecipata da più di 5.000 rappresentanti delle comunità del cibo.
Tra loro, anche i più prestigiosi cuochi internazionali accorsi al seducente richiamo, ben consci dello stretto legame che unisce il gusto della cucina di successo a quella del cibo di qualità.
Immancabilmente presenti 450 docenti di circa 250 università e centri di ricerca, impegnati nella rete per garantire la conservazione ed il rafforzamento della produzione del cibo sostenibile, attraverso le conoscenze scientifiche, l’ascolto delle piccole comunità e l’educazione della società civile.
A loro si sono aggiunti migliaia di giovani, coinvolti dalla rete di Terra Madre per imparare a salvare il mondo dell’agricoltura, oggi in grave crisi senza loro. Sono accorsi i musicisti di ogni comunità del globo, per usare il linguaggio universale della musica, strumento efficace per il trasporto di ogni emozione.
Il “raduno” è diventato un trionfo di colori, quelli degli abiti tradizionali dei popoli coinvolti; un tripudio di profumi trasportati da ogni angolo del mondo; suoni nuovi, magici, costruiti su accordi sconosciuti a noi occidentali.
Terra Madre diventa emozione, coralità, poesia…..
Ma Carlin si ribella.
Non voleva dare vita solo ad una grande festa dei paesi. Non pensava solo al folklore di quei raduni affollatissimi. Non credeva di aver dato vita alla poesia, per quanto nobile fosse il gesto.
Carlin voleva fare politica e l’ha fatta. Terra Madre è politica come lo è il cibo, il rispetto della diversità, la difesa della natura.
E’politica la volontà di dare voce, un luogo ed un sogno agli umili, alle frange sociali più emarginate dal potere, a tutti coloro che sentono di non avere più speranze nelle stanze del potere.
Carlin parla a loro, e non si limita a sostenerli. Li incita, li scuote, li rimprovera per non difendere abbastanza i loro diritti e la terra che a loro appartiene. Li esorta a bloccare il ricorso ai mercati esteri, perché ogni paese difenda la propria produzione, unica condizione per la salvezza della terra e del lavoro di ogni popolo.
Che sia poesia, ma anche politica. Che sia estetica, ma anche etica.
Terra Madre diventa una “FAO” senza burocrati e i loro costi, una struttura “austeramente anarchica”.
Carlin urla dal suo podio l’importanza di cambiare le loro sorti e quelle di ognuno di noi nel profondo. Ricorda che “la tradizione è l’innovazione più importante della modernità”. Insegna a tutti che “la trasformazione è la più efficace delle rivoluzioni”.