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Vice Presidente di Film Commission Torino Piemonte - Collaboratore in Staff Assessorato Attività Produttive, Commercio, Lavoro Città di Torino

La vera saggezza sta in colui che sa di non sapere

Nel corso del tempo il lavoro mi ha insegnato che sono infinite le cose che non sappiamo. Da lì, il mio impegno per l'informazione e la divulgazione è diventato "passione".


giovedì 19 maggio 2011

Massimo Gramellini racconta la sua Patria


Massimo Gramellini presenta, al XXIV Salone del Libro di Torino, il racconto scritto insieme a Carlo Fruttero dei 150 anni dell’Italia Unita.

Capire i meccanismi che innescano il successo è , da sempre, un’operazione sociologica affascinante . E’ un pensiero che ci assale ogni volta che la folla acclama, accaldata, il suo eroe, che si tratti di un rocker o i un politico.
E’ ciò che pensavo entrando nella sala Oval del Salone del Libro di Torino, in attesa di Massimo Gramellini che avrebbe, di lì a poco, presentato il libro, scritto insieme a Carlo Fruttero, “La Patria, bene o mal”.
Cos’è che rende questo bravo giornalista un eroe delle masse?
Conosce perfettamente la tecnica della scrittura, ma la sua arte è quella di dosare perfettamente l’arguzia ironica dell’intellettuale con il linguaggio semplice dell’oratore perfetto.
La postura è eretta e la gestualità ricca, ma il linguaggio del corpo non è mai enfatico, lontano dalla sacralità del cattedratico accomodato sulla sedia gestatoria.
Cammina sul palco, grandi falcate che solcano il percorso e, se si ferma, è solo per appoggiarsi allo schienale della sua sedia, in maniche di camicia, come farebbe ogni onesto lavoratore nell’esercizio delle proprie funzioni.
La sua presenza rassicura, ma diffonde fierezza. Sa essere umile, ma sa di essere un grande.
Non ammicca, sorride schiettamente.
Non recita, ma non annoia mai.
Il suo successo, è l’insieme virtuoso di questi ingredienti.
Il libro assomiglia ai due autori.
Un volume che racchiuda 150 anni di storia d’Italia ( dal Risorgimento ad oggi ), è un’impresa ardua, una sfida alla pazienza del lettore che, nella maggior parte dei casi, ignora parte di quelle vicende che sente già troppo lontane.
Lì, scatta la raffinata capacità dei due scrittori, di rinunciare al ruolo di storici puri, per operare una selezione significativa di fatti che hanno contraddistinto i quindici decenni dell’Italia unita. Non tralasciando gli episodi che rappresentano i cardini storici di questo percorso della memoria, come la Breccia di Porta Pia, la disfatta inaspettata e imbarazzante di Caporetto o il rapimento di Aldo Moro, sono stati menzionati fatti e personaggi della cronaca rosa, dello spettacolo, dello sport, di quella tv che sconvolse la vita degli italiani.
Le memorie non potevano ignorare la vergogna del “Manifesto della razza” che, il 15 luglio 1938, segna l’inizio del pensiero fascista ignorante ( nel documento si attestava che la razza italiana poteva essere considerata ariana, non avendo subito contaminazioni nei mille anni precedenti, ossia dai Longobardi in su), ma, leggendo lo stesso libro , tutti si saranno ritrovati in quell’Italia che venne travolta dal una “Mina” vagante, e dalla sua incantevole voce, che diventa manifesto della canzone italiana.
Verrà ricordata l’arte diplomatica, a volte intrigante, di Cavour, e l’impeto battagliero e più sanguineo di quella “testa calda” di Garibaldi, ma il libro offre anche il ricordo della lotta danzata di Cassius Clay, o la vittoria di Wilma Rudolph, la bimba affetta da poliomielite che diventa la donna più veloce del mondo.
Un episodio è dedicato al romanzo “ Le confessioni di un italiano”, di Ippolito Nievo, ed un altro alla fine della Prima Repubblica, con lo scandalo di Mani Pulite.
Un libro dedicato ad ognuno di noi, che ha un ricordo confuso di una parte di quella storia che non ha vissuto e che, nel contempo, ne ha conosciuto, sofferto e amato il resto.
Gramellini e Fruttero hanno scritto questo libro, sposando il ruolo del lettore, con l’umiltà e l’ illuminazione dello scrittore consapevole del fatto che, per arrivare al cuore della gente, bisogna porsi nella sua stessa condizione.
E’ stato difficile seguire la presentazione, oltre gli applausi ripetuti e i guizzi d’entusiasmo di fans pronte a tutto.
L’unico cruccio, è la rassegnata sensazione che non verrà mai ospite nella trasmissione che conduco, nonostante una garbata promessa….

martedì 17 maggio 2011

Finalmente, pacata consapevolezza


A cosa serve serve essere italiani? La Lectio di Giovanni De Luna per spiegare la necessità di costruire una religione civile, le regole per farla nascere e gli errori storici da non ripetere.



IL XXIV Salone Internazionale del Libro, a Torino, è stato un successo, ma anche una kermesse di incontri dai toni accesi, quasi urlati, e di censure, qua e là, operate in favore del clima elettorale incombente.
Non nego di aver seguito le conferenze più “calde”, divertita dall’ironia più pungente, e sollevata dalla convinzione che le masse non siano più reattive, ma ben disposte alla riflessione dai toni un decibel più piccanti del peggior reality.
Ciò detto, però, non posso nascondere l’incanto della lectio magistralis tenuta da Giovanni De Luna sul grande interrogativo “A cosa serve essere italiani”.
Insegna Storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino e, da uomo di grande cultura, De Luna ha illustrato il percorso accidentato che gli italiani dovrebbero affrontare per costruire una “religione civile” in Italia, quella stessa che rappresentava il progetto del Risorgimento.
Un monologo dotto, sussurrato, intelligente e più efficace di una raffica di insulti o di una bordata di cattivo gusto, quello che oggi è linfa vitale del linguaggio corrente. A qualunque substrato culturale.
Il suo concetto di “religione civile” è uno spazio pubblico che legittimi lo Stato; si tratta di valori che riabilitino la sana competizione politica e lo stesso senso civico dei cittadini.
La sua accanita ricerca di una nuova religione civile ruota attorno ad un nodo mai risolto, e che troppo pesa nella storia del nostro Paese: l’incombente ruolo della Chiesa cattolica nei confronti dell’operato dello stato, e le complicazioni storiche che derivano dal collaborazionismo tra la religione e il fascismo (prima), e con la Democrazia Cristiana (dopo).
La figura del “Buon padre di famiglia” battezzata dal fascismo nel suo progetto di costruzione degli italiani, e la storica riforma agraria fortemente voluta dall’Italia di De Gasperi, per rafforzare la società contadina, rappresentano il prezzo che il paese ha pagato per la forte influenza del cattolicesimo sulla cultura.
De Luna spiega, dunque, che la continua commistione tra religione civile e dimensione religiosa in senso trascendentale, sia il grande limite della nostra società, frutto di una forte egemonia ecclesiastica .
In qualità di storico, ritiene che sia un errore pensare che senza cattolicesimo non si possa essere italiani.
L’insegnamento dello storico è quello di pensare ad una società liberale, completamente avulsa dalla Chiesa Cattolica, a differenza di quanto è accaduto finora. E’ quello di fornire al paese l’impronta della pedagogia politica, perchè cresca la disciplina che studia le teorie, i metodi e i problemi relativi all’educazione dei giovani.
De Luna si sofferma, poi, su un altro limite che ha impedito l’agevole costruzione di una religione civile: il trasformismo, che non sempre può essere disegnato come quello semplice di Scillipoti.
E’ il freno tirato da una precisa tecnica di governo che rappresenta un atto di profonda sfiducia nella capacità di governare del popolo, la diffidenza di apertura verso il basso.
Non poteva essere la tecnica fascista, che fondava la società sull’estrema ideologizzazione e sulla rigida appartenenza a ruoli sociali ben distinti e non comunicanti, a creare una religione civile. La mancanza di un dialogo con la passione degli italiani, ha segnato il suo fallimento storico.
Tanto meno la tecnica del Partito Comunista, troppo incentrata su una religione di apparato, poteva contribuire al progetto di costruzione.
Solo le forze laiche del Partito d’Azione di Pietro Calamandrei raccolsero l’intuizione dell’Illuminismo di formare una religione civile.
Ma su quali valori si può fondare oggi la religione civile, se anche il percorso della memoria condivisa della seconda Repubblica è fallita?
Qui Giovanni De Luna suggerisce una soluzione in cui crede, ma di cui intuisce la fragilità: la virtù della Mitezza, che non sia intesa come rassegnazione e sconfitta, ma come forza contrapposta all’arroganza del potere, e spesa a favore degli ideali di dialogo e tolleranza.
Il Professore ha usato un riferimento storico per descrivere lo stretto legame che può esistere tra la mitezza e la forza: i 12 professori che rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo.
Per quel gesto eroico e di una forza straordinaria, usarono una frase mite che passò alla storia con l’efficacia di una lama nelle carni della dittatura: “Preferirei di no…..”
La Lectio di Giovanni De Luna nasce ispirata da una semplice domanda dei suoi allievi: “Professore, che ci guadagniamo ad essere italiani?”
Lui ha risposto con ardore e pacatezza.
Che bella lezione di vita, un racconto senza strepiti e pieno di vigore analitico…..

lunedì 16 maggio 2011

Piergiorgio Odifreddi scrive al Papa


Al XXIV Salone Internazionale del libro di Torino Odifreddi presenta “Caro Papa, tii scrivo”. Introdotto da Gianni Vattimo la disquisizione tra il Filosofo ed il Matematico diventa evento


La letteratura insegna che “l’aggettivazione “eccessiva di un’opera sia un grande rischio per l’autore, a meno che non si tratti di Victor Hugo.
I grandi giornalisti hanno speso fiumi di parole per inibire nelle giovani penne la tentazione dell’aggettivo facile, spesso superfluo.
Ma quando non si è più giovani e si scrive di Piergiorgio Odifreddi, come si fa a non cedere all’elenco?
Istrionico, impertinente, simpatico, ammiccante, intelligente, puntuale, sabaudo e irrevocabilmente ateo.
Il matematico impenitente scrive una lettera a Papa Ratzinger e, non essendo la prima senza risposta, decide di ipotizzare anche la replica che, per onestà intellettuale, s’ impegna a rendere plausibile e, insolitamente , non ironica.
La corrispondenza epistolare diventa il libro “Caro Papa, ti scrivo”,che Odifreddi presenta al Salone del Libro, introdotto da Gianni Vattimo.
La convivenza sul podio non è facile, data l’impronta caratteriale dei relatori.
Il filosofo non nega l’effetto urticante che produce su lui la matematica.
Il professore di logica ritiene che la filosofia sia una miniera inesauribile di letteratura fantastica ( come Borges sosteneva della teologia).
Giocano a non essersi simpatici, ma lo fanno divertendo la platea che era pronta ad uno scontro cortese.
Vattimo, credente anche se anti-papale, inizia la presentazione del libro soffermandosi sul limite principale che a lui appare evidente. Il linguaggio estremo dell’autore, la sua avversione incondizionata e la pretesa di fornire spiegazioni logiche , addirittura matematiche, alla fede non fa che rafforzarne il suo dogma. Il filosofo sostiene che il principio della fede è assoluto e si afferma come verità indiscutibile; diversamente non sarebbe “fede”, ma una realtà oggettiva e dimostrabile.
Il suo giudizio, addolcito da un sorriso di sfida e complicità nel contempo, è che tanto eccesso rischi di diventare enfatico, proprio come il linguaggio religioso e che lo stesso autore risulti, paradossalmente, “papale”.
Più volte tacciato di irrispettosità nei confronti della fede, Odifreddi replica con la stessa serietà con cui ha scritto il libro.
La sua curiosità nei confronti dell’opera di Papa Ratzinger “Introduzione al Cristianesimo”, considerato universalmente un capolavoro teologico, è stata tale da meritare un’analisi attenta dei principi.
La critica mossa dal Santo Padre alla Chiesa nell’ambito dei suoi insegnamenti contenuta nell’incipit dell’opera, ha suscitato l’ammirazione del lettore ateo.
Il ricorso alla scienza per dimostrare i principi religiosi, però ha destato l’orgoglio del matematico , che ha individuato in quelle argomentazioni il punto fragile delle tesi papali.
Per ognuno di questi motivi il Papa diventa l’interlocutore ideale nell’eterna disputa sulla fede.
Odifreddi conclude sintetizzando i punti fragili di ”Introduzione al Cristianesimo: Metafisica identificare Dio come “l’Essere”, Metastoria identificare Gesù come personaggio storico, presupponendo una diversa interpretazione della storia stessa; Metabiologia considerare la resurrezione di Cristo, l’inizio di una nuova specie umana.
E’ buffo pensare che un ateo irriducibile come Odifreddi, abbia passato quattro anni della sua vita in seminario. Ancor più buffo sapere che fu una scelta dettata dalla ferrea volontà di diventare Papa, piuttosto che dalla vocazione alla fede. Era il sogno di un bambino che guardava la televisione negli anni cinquanta, costretto a scegliere l’identificazione tra Mike Buongiorno o la figura di Papa Pio XII, che in video appariva in tutto il suo splendore :”…paramenti intessuti d’oro e tempestati di pietre preziose, la tiara in testa, i guanti bianche alle mani, un grosso anello al dito, issato sulla sedia gestatoria, sventagliato da flabelli di struzzo ed esibito alla folla estasiata ed acclamante, in trepida attesa della sua benedizione.”
Come poteva non rimanerne incantato?
A tratti, quando la sua mente di matematico brillante si lascia infiammare dal dibattito declinando appena verso la passione per la scienza, il suo linguaggio ( come sostiene Vattimo), assume tinte forti, quasi enfatiche. Tocca un estremo che sembra allontanarsi dalla logica e il linguaggio diventa quasi “papale”. Per un attimo i sembra affiorare quel bambino dal sogno infranto…..

sabato 14 maggio 2011

Le Penne di Micro Mega pr lìimpegno


I migliori giornalisti della storica rivista di politica e filosofia disquisiscono del valore dell’impegno e della scrittura per la difesa della democrazia e della Costituzione


Nell’ambito delle possibilità di scelta che il giornale mi ha permesso di operare tra tutti gli incontri proposti dal Salone del Libro, quello sulla scrittura e l’impegno è stato tra i primi che io abbia scelto.
Imperdibile la passerella di menti guizzanti che si sono date il passo in favore dell’impegno, le penne migliori della storica rivista – libro Micro Mega, che proprio quest’anno compie venticinque gloriosi anni.
Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack, Marco Travaglio, Gian Carlo Caselli, Pierfranco Pellizzetti. Per ognuno di loro sarebbe valsa la pena di sfidare l’interminabile coda di auditori assiepati all’ingresso della Sala Gialla. Per tutti loro messi insieme, valeva il sacrificio di rinunciare alla colazione rilassante del sabato, per arrivare con il netto anticipo di un’ora rispetto all’ora fissata.
La scrittura e l’impegno. Ma di chi? E rispetto a che cosa?
La scrittura è quella di Micro Mega, rivista di filosofia e politica diretta da Flores d’Arcais al servizio delle grandi battaglie civili per la difesa di una coscienza democratica. L’impegno è quello che ad ognuno viene chiesto , in Italia, per mettere in atto la rappresaglia al torpore che ci paralizza nell’era berlusconiana.
Margherita Hack irrompe con la fermezza di una forma mentis scientifica e la dolcezza di un linguaggio saggio e asciutto. La postura sembra eretta, tanto è trasparente e logico il suo parlare, anche se la schiena da tempo è curva, come le sue mani.
Parte all’attacco del sistema di Governo che lei definisce una dittatura strisciante, in cui ogni principio di democrazia viene minato nel profondo attraverso l’indebolimento della magistratura, o il capovolgimento dei poteri costituzionali tra le figure del Presidente della Repubblica e quello del Consiglio. Cita gli effetti di una discutibile legge elettorale mai cambiata e che favorisce la presenza di persone impreparate nei banchi del Parlamento, si sofferma a riflettere sulla legge che impedisce l’eutanasia.
La Hack ricorda l’importantissimo ruolo della cultura che, contribuendo a formare le coscienze, rappresenta lo strumento di combattimento a tanto degrado intellettuale, e denuncia la gravità dei tagli operati dalla destra ai finanziamenti per la ricerca, nei confronti della quale però, sempre la destra, chiede aiuti per aumentare la competitività con i paesi emergenti.
Errori e contraddizioni che secondo la scienzata nascondono la volontà di controllare la conoscenza delle masse e che mettono in evidenza le mancanze di un’opposizione che non è mai riuscita a restare unita, neppure di fronte al nemico.
Al termine del suo intervento, Flores d’Arcais propone Margherita Hack come candidato alla nomina di “ Senatore a vita”, inserendo la scienzata nell’elenco dei cinque nomi al vaglio del Presidente Napoletano. Se è vero che l’articolo 59, comma 2, della Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica può nominare” Senatori a vita” cinque persone che abbiano “illustrato la Patria per altissimi meriti in capo sociale, scientifico, artistico e letterario”, Margherita Hack ne avrebbe pieno titolo, almeno per due degli aspetti citati.
A quel punto la platea è scattata in piedi ed il suo applauso ha impedito la ripresa del dibattito per almeno cinque minuti, ed ha inumidito le palpebre stanche di questa grande donna.
Pierfranco Pellizzetti ha sottolineato la necessità che l’impegno sia nell’indignazione verso la sciatteria politica, nei confronti della distorsione delle parole affinché se ne stravolga il senso politico ( “giustizialismo “,per esempio ) e verso ogni abuso manifesto.
Gian Carlo Caselli ha spiegato che l’impegno è anche quello di non accettare più indifferenza e omissioni nel campo della giustizia perché anche questi cattivi comportamenti, come i reati, intralciano il suo cammino impedendo la fine della crisi che l’attanaglia.
Marco Travaglio ha chiuso il dibattito nel più “tenue” dei modi. Spiegando, per esempio, che l’impegno sarà anche quello di ricordare, in un futuro post-berlusconiano, i nomi di tutti coloro che sposarono, o semplicemente appoggiarono,
un governo – dittatura come quello attuale, ricordare quale stampa si è prestata al servizio del datore, quali furono le figure che contribuirono a spegnere gli entusiasmi nei confronti della democrazia.
Ha chiuso il dibattito con tono pacato e lucido, senza strepiti ma con l’efficacia del morso di un mastino. Lecca- culo, li ha chiamati i nomi di coloro che vorrà ricordare.

martedì 10 maggio 2011

mercoledì 4 maggio 2011