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Vice Presidente di Film Commission Torino Piemonte - Collaboratore in Staff Assessorato Attività Produttive, Commercio, Lavoro Città di Torino

La vera saggezza sta in colui che sa di non sapere

Nel corso del tempo il lavoro mi ha insegnato che sono infinite le cose che non sappiamo. Da lì, il mio impegno per l'informazione e la divulgazione è diventato "passione".


domenica 17 aprile 2011

L'ELOGIO DELLA DIMENTICANZA DI UMBERTO ECO


Sabato 16 aprile, penultimo giorno della Biennale Democrazia che si è tenuta a Torino, il Teatro Regio era gremito per la presenza di Umberto Eco che, con Gustavo Zagrebelsky nelle vesti di moderatore , inizia improvvisando un esilarante siparietto circa la loro collocazione : erano seduti sul palco per il semplice motivo che quelli erano gli ultimi due posti rimasti disponibili in sala.
Il pubblico era veramente variegato ma la maggior parte degli auditori non aveva più di venticinque anni, a parte la presenza di alcune scolaresche. Il dato è molto interessante perché dimostra l’indiscutibile capacità di Eco di rapire l’attenzione dei giovani e di assurgere a loro faro illuminante, senza rimaner cristallizzato nel ruolo, a volte pedante, del professore che spiega la vita da qualche pianeta di distanza.
E’ stato un trionfo!.
Il rapporto tra memoria e oblio, o meglio, l’Elogio della Dimenticanza come estrema difesa della cultura; questo è il tema con il quale il Grande Saggio ha ammaliato la platea.
In un periodo in cui ognuno di noi annega il proprio sapere in un inconsulto, eccessivo bombardamento di informazioni, molte delle quali di scarsa qualità, ognuno di noi è destinato a perdere tutto il proprio sapere.
Internet, tv, giornali e ogni contenitore mediatico che ormai allarga a dismisura il proprio format(compresi i quotidiani che hanno raggiunto formati di oltre 60 pagine), e l’eccessivo rumore prodotto dalle notizie secondarie rispetto ai problemi scottanti (anche dai quotidiani) , contribuiscono a creare un inquietante silenzio attorno a noi. Un sofisticato sistema di “censura per eccesso di rumore”, e non per sottrazione di notizia.
Non tanto per accattivarsi la simpatia della platea ( non ne ha bisogno), quanto per svegliare le masse da un torpore incalzante, Eco inizia la sua relazione partendo dall’analisi di un indiscutibile figura di riferimento del nostro tempo: le veline!
Superato il boato che in teatro ha infranto la barriera del suono, per le irrefrenabili risate che la citazione ha prodotto, Eco ha ricordato il vero significato del termine che oggi usiamo, invece, per definire” signorine danzanti di bella presenza”.
Al tempo della dittatura fascista, infatti, le veline erano fogli di carta quasi trasparente che il Ministero per la Cultura Popolare spediva , ai vari Dipartimenti, per indicare l’elenco delle azioni proibite. Dunque, le veline rappresentavano, nel periodo fascista, la “censura per sottrazione”, come solitamente viene intesa l’azione di proibire atti ritenuti gravi.
Oggi le veline, invece, esercitano una “censura per eccesso”, provocando con il loro agire ( e con le loro curve) , tanto rumore quanto basta per annullare il resto delle informazioni importanti. Quelle, appunto, che è opportuno oscurare.
L’eccesso di rumore, dunque, nega il silenzio in cui può trovare spazio l’unica forma possibile di informazione: la mormorazione.
Oltre all’informazione, però, Eco ha parlato a lungo della funzione della Memoria, come strumento indispensabile per la trasmissione e la conservazione della cultura, e della necessità che tutto il sapere si tramandi nei secoli attraverso le operazioni di decimazione, filtraggio e selezione.
Decimazione , perché, per esempio, diventa inutile per l’Uomo conservare un elenco di 10.000 libri che internet può offrirgli; sarebbe inverosimile possa leggerli tutti; impossibile che legga anche solo 10.000 titoli. Sarebbe necessario , invece, che leggesse i migliori 100, nel corso della sua vita.
Filtraggio, perché è altresì importante che la fonte che seleziona i 100 titoli, lo faccia con criteri stabiliti secondo un linguaggio comune. Ciò significa che è inutile ricevere, per ogni informazione, mille fonti diverse che non parlino tra loro linguaggi diversi ( che non vuol dire pareri discordi); ciò equivarrebbe a non avere alcuna informazione.
Selezione, perchè la cultura è anche la capacità di saper dimenticare le informazioni inutili, evitando il rischio di cadere nell’oblio e nella vertigine da eccesso.
Se un uomo potesse avere memoria di ogni frase ascoltata, di ogni titolo letto, di ogni canzone sentita, di ogni notizia pervenuta, sarebbe un uomo assolutamente stupido, privo di alcuna forma di sapere, come il personaggio di un famoso libro di Vargas Ilosa.
Restano altre possibilità di salvezza per la cultura: la “latenza” e l’arte del “recupero del dimenticato”. Ma sono argomenti che potrebbero costituire materia per una nuova conferenza.
Nessun indugio nell’oratoria di Umberto Eco.. Ascoltandolo, tornava in mente quel nesso fatale che Scalfari, il giorno prima, ricordava esistere tra il pensiero che educa il linguaggio, e l’eloquio che suscita il pensiero.
I ragazzi esultavano e, per i meno giovani, è stato un segnale commovente. Non siamo morti, dunque.
L’unica incertezza era nell’incedere, che l’uso del bastone favoriva, però. Un piccolo incidente al pollice della mano destra destra ha impedito la sottoscrizione di dediche che la folla attendeva in buon ordine. E’ stata l’unica vera delusione….

venerdì 15 aprile 2011




Nel corso di Biennale Democrazia che si è svolto a Torino, il Teatro Carignano ha ospitato Federico Rampini, Pietro Garibaldi e Ferruccio De Bortoli, in qualità di moderatore, per affrontare il tema “Democrazie senza sviluppo, sviluppo senza democrazie”.
La conferenza ha avuto inizio sulla base di un’ apprezzata analisi che il Prof. Garibaldi ha presentato circa il ruolo fondamentale che il capitale umano ( istruzione ) e la democrazia svolgono nella crescita di un paese, sottoponendo la platea ad una provocazione : la democrazia, rispetto alla crescita di un paese, può sortire due effetti, uno positivo ed uno negativo.
Il primo effetto si ottiene quanto l’esercizio della democrazia avviene con un certo “controllo”, il secondo, quello negativo, quando l’uso eccessivo dello “strumento democrazia” comporta, come estrema conseguenza, una certa “lentezza di sistema”.
Ciò si traduce nel principio che un basso livello di libertà politica aiuta lo sviluppo del paese, mentre la crescita eccessiva della stessa libertà, lo rallenta. Ma è indubbio e incontrovertibile, che solo un sistema democratico favorisca lo sviluppo di un paese.
A questo punto, inizia l’intervento di Rampini che pone un quesito iniziale : come è possibile che in un momento di così grave crisi economica del mondo occidentale un paese come la Cina, che non è esattamente una democrazia, stia ottenendo un tale tasso di crescita economica?
Come si spiega la difficoltà che Obama incontra nel costruire una rete ferroviaria ad alta velocità tra Los Angeles e San Francisco, mentre la Cina ha creato la più lunga e sofisticata esistente?
Rampini ha ricordato quanto la Cina abbia speso nella formazione del capitale umano ( il livello di preparazione degli studenti cinesi è primo al mondo, mentre quello americano è scivolato al venticinquesimo), pur restando un dato drammatico le condizioni di ignoranza dei ragazzi delle estreme campagne cinesi.
Incontrovertibile, spiega Rampini, il progresso dei paesi del “BRICS”, ossia Brasile, Russia, India, Cina e Sud – Africa, le grandi economie emergenti che hanno attirato l’attenzione dei più lungimiranti finanzieri e che, nel tempo, hanno suggerito ai governanti l’idea di unire le proprie forze in incontri che, indubbiamente, producono più accordi e risultati del G20. Come si spiega tutto ciò?
Perché i BRISCS oggi rappresentano grandi esempi di democrazia, compresa l’India che, sfatando ogni remora occidentale, dal 1947 ha sviluppato, ininterrottamente, una grande cultura democratica. Settecento milioni di elettori ( su circa un miliardo di abitanti), non rinuncia a quello strumento fondamentale che è il voto, soprattutto se appartenenti alle classi più svantaggiate della popolazione. L’esistenza delle caste, a differenza di quanto erroneamente crede l’occidente, rappresenta un retaggio della cultura induista.
Anche il Brasile emerge come esempio, rappresentando l’unico caso al mondo di sviluppo economico e di diminuzione della disuguaglianza sociale nel contempo.
Ciò premesso , a parte la Russia,che non si può definire esattamente un esempio di democrazia, i paesi del BRICS hanno fondato la propria crescita sul modello democratico.
Continuando nella sua analisi, il Prof. Garibaldi ha fatto presente quando incida, nella crescita di un paese, lo stretto legame tra il reddito pro – capite dei governanti e la crescita stessa, ossia quanto pesi il rischio di “abuso di potere”.
A tale proposito, ben calzano gli esempi di colonizzazione che ci propone la storia, individuando i due modelli di riferimento: le colonie “estrattive” ( in cui i coloni occupano un paese estraendone ricchezze), e quelle “Istituzionali”( in cui i coloni si trasferiscono nei paesi occupati ricreando il sistema di istituzione e la difesa della proprietà, utili alla crescita del paese colonizzato).
Un esempio attuale per tutti: la Norvegia che ha recentemente scoperto ( venti anni fa), ingenti risorse petrolifere e che ha instaurato un sistema di investimento di una parte degli introiti nelle politiche sociali, rinunciando alla espropriazione dei capitali da parte dei governanti, Ciò ha prodotto nel paese, un “problema di credito” e non di “debito” pubblico.
Ben diversa, è stata la gestione delle risorse naturali da parte delle dittature, in cui il capitale è servito ad aumentare il livello di ricchezza dei governanti e la disuguaglianza sociale nel paese.
Cosa ancora può incidere nello sviluppo di un paese?
Banalmente…. la libertà e l’indipendenza delle magistrature..
Rinunciando al facile esempio dell’italia, Rampini ha scelto di citare gli Stati Uniti, in cui i due prossimi candidati alle elezioni ( tra cui Obama), si preparano ad affrontare quelle che saranno le campagne elettorali più finanziate della storia ( un miliardo di dollari…).
Come si può pensare che tanto capitale non arrivi dai poteri forti ( tra cui società petrolifere e finanzieri), e che in futuro tali finanziatori non chiederanno il loro risarcimento politico?
Cosa resta da fare all’Italia, alla luce di questa analisi, per auspicare una maggiore crescita?
Forse, gestire bene il capitale umano e la sua formazione, chiedere ed offrire più partecipazione, fornire corretta informazione, garantire la democrazia.
La platea ha applaudito, soprattutto alla speranza che non sia solo una splendida utopia.

Scalfari racconta l'Uomo Italiano Medio di De Sanctis


Come previsto, è stata una lezione magistrale quella che Eugenio Scalfari ha tenuto al Teatro Carignano di Torino , in occasione della Biennale della Democrazia.
Avrebbero dovuto essere presenti tutti, da destra e da sinistra, di ogni estrazione sociale e culturale, perché il ritratto che ha proposto è quello dell’Italiano Medio.
Come di consueto, la sua attenta analisi è partita da lontano, come per ricordare che la lettura del presente non può prescindere dallo studio del passato e che ogni moto, anche sociale, torna a ripetersi, con le stesse dinamiche. Purtroppo, anche attraverso gli stessi errori.
Per gli spettatori più prevenuti avrebbe dovuto trattarsi della conferenza di “un comunista”. Invece, ha rappresentato le riflessioni di un liberale ( evitando il temine più internazionale e chic di “liberal”) schierato a sinistra. Ciò ha comportato, secondo la logica della correttezza, una valutazione onesta dei limiti di ogni schieramento.
La sua analisi è partita dalla definizione che Francesco De Sanctis, deputato del primo Parlamento Italiano e Primo Ministro dell’Istruzione nel periodo post-unitario, dava del “carattere e della nervatura della persona”. De Sanctis riteneva che esistesse un nesso strettissimo tra il pensiero ed il linguaggio, e che l’uno fosse necessario ad attivare l’altro.
La struttura della lingua di una persona, dunque, rappresenta la “nervatura” ed il “carattere” stesso dell’individuo; non si può vivere senza l’esercizio continuo delle due attività ( linguaggio e pensiero). Tanto meno governare con saggezza.
La premessa è servita a spiegare il comportamento degli italiani fortemente influenzati da una cultura che, da sempre, li spinge a seguire i moti emotivi dell’esistenza, piuttosto che sospingerli verso un’attenta analisi dei fatti.
Ciò ha rappresentato, invece, il pregio del partito comunista italiano ( diverso da quello di altri paesi ), che ha improntato tutta la propria attività alla luce di una forma mentis dedita alla valutazione di ogni evento accaduto, fino all’esame del proprio fallimento. Un aspetto che ha certamente rappresentato anche un limite, ma che ha stabilito un rapporto diretto tra pensiero e linguaggio, allo scopo di raggiungere la piena consapevolezza del proprio operato. Ciò ha comportato la valutazione del “particulare”.
Questo processo è quello che ha dato vita ad un’ importante funzione svolta dal partito comunista italiano : l’educazione delle masse.
La borghesia italiana invece, secondo Scalfari, non ha mai voluto seguire una modalità così “scomoda” da valutare il dettaglio, rinunciando , di conseguenza, alla guida del Governo, affidato ad interposte figure.
E’ quanto è avvenuto in Italia, in cui il triangolo economico dei poteri forti è diventato una grande cometa che racchiude tanti poteri ( le partecipazioni intrecciate nei sistemi di banche e finanziarie, per es.), la cui scia racchiude tutti i poteri piccoli e medi delle imprese del nord-est. La figura del piccolo imprenditore non può essere interessato ad una valutazione globale del sistema, ma sarà portato a difendere il suo “particulare”.
A quel punto, non conta più chi governa, ma diventa importante compiacere il potere di volta in volta, secondo, le proprie necessità.
Ecco, dunque, che si delinea la figura dell’uomo secondo la scuola cattolica liberale di Alessandro Manzoni, e quella secondo la scuola democratica liberale, a capo di cui si trovava Giuseppe Mazzini.
Manzoni, anti –romantico come un classicista non fu, però tale, perché gettò le basi della letteratura nazional- popolare e, nel suo capolavoro letterario “I Promessi Sposi”, diede vita alla figura di Don Abbondio, che ben rappresenta “l’Uomo attento al suo particulare”.
Scalfari ripercorre le traversie di un prete dalle buone intenzioni ma asservito al potere ( Rappresentato da Don Rodrigo), al punto di venire meno alle proprie responsabilità, e scagionato da questa stessa accusa dalla società ( Il Cardinale), alla luce di un potere superiore più forte e arrogante.
Don Abbondio rappresenta, appunto, il fondamento del carattere italiano, ossia, l’Uomo Italiano Medio.
L’attenzione al dettaglio storico posta nell’analisi di Eugenio Scalfari, la visione globale del quadro politico passato e presente, la correttezza imposta al processo di valutazione hanno trasformato il suo intervento in un viaggio magico attraverso la storia. Il teatro non aveva più confini, né a destra né a sinistra, solo un grande orizzonte davanti. E lo vedevamo tutti attraverso i suoi occhi puntati “per l’alto mare aperto”.

martedì 12 aprile 2011

Puntata di Antropos su Cavour


Cavour mio eroe

Ognuno vive all’ombra di un eroe nella vita, e molti ne hanno uno anche per un momento della storia così importante come il Risorgimento.
Io identifico la forza rivoluzionaria ed illuminata di quel periodo nella figura rassicurante ed ingombrante, nel contempo, di Camille de Cavour.
Cavour passò alla storia come l’uomo politico, lo statista, il saggio più capace della scena politica italiana e la misura della sua opera è data dal fatto stesso ch’egli morì a soli 50 anni.
Fu astuto e liberale.
Astuto perché giocò sul rischio rivoluzionario temuto dalle potenze europee, per avere il via libero all’ unificazione nazionale sotto lo statuto sabaudo.
Liberale, perché trasformò il regime sabaudo in regime parlamentare.
Fu il grande precursore ed il forte sostenitore della “forma di governo”, che a lui interessava più delle conquista territoriali.
Più di chiunque altro, fui lui a sviluppare il sistema parlamentare in Italia, sopravvivendo ai numerosi tentativi del Re Vittorio Emanuele di trovare un Presidente del Consiglio di Sardegna più docile ed obbediente.
Il suo percorso fu irto di insidie che giungevano da destra, dove i conservatori lavoravano per mantenere l’ Italia divisa, e da sinistra, dove Mazzini ( la mente ) e Garibaldi ( il braccio armato), guidavano le masse verso una nazione unita, più ideale e idealistica.
Nel periodo compreso tra il 1855 ed il 1859 lavorò con tenacia e sofisticata strategia affichè scoppiasse una grande guerra europea, nella sottile speranza che ne seguissero lo smembramento dell’impero austriaco e l’unificazione d’Italia centrale e settentrionale. Nel 1859 apparve evidente che il risultato fu un fallimento e, l’anno successivo, il conte Cavour iniziò un attentissimo lavoro diplomatico, che sostituì l’intervento militare interrompendone i moti, per annettere la Sicilia e Napoli, le province conquistate da Giuseppe Garibaldi.
L’abilità di Cavour emerge tracciando nella storia, non solo i suoi successi ma, soprattutto, le difficoltà che superò, gli sbagli che fece, le incertezze per cui vacillò; tutto quello che lui definì “la parte meno bello dell’opera”.
La capacità di porre rimedio agli errori suoi e degli altri e l’arte di sfruttare a proprio vantaggio, e a quello del paese, le condizioni avverse, erano i tratti fondamentali della sua suprema abilità di statista.
Inevitabile fu il paragone con la figura di Bismark, Primo Ministro della Prussia, colui che fu l’artefice principale dell’Unificazione della Germania
Figlio di un nobile proprietario terriero, Bismark si mise in luce per le sue idee conservatrici. Leader della destra, fu contrario ad un processo di unificazione della Germania su basi demografiche.
Il nucleo centrale del pensiero politico di Cavour, invece, era racchiuso in una concezione liberale che lo portò ad avversare le teorie socialiste che cominciavano a circolare nell’Europa Centrale e, nel contempo, lo indussero a sospingere la borghesia illuminata sulle vie delle riforme, al fine di migliorare le condizioni dei contadini e degli operai e di scongiurare ogni rivolgimento sociale.
Era dotato di grande capacità dialettica; era rarissimo che disertasse anche una sola discussione alla Camera, di cui era ritenuto autorità assoluta.
Nei caffè ci si chiedeva se Bismark avrebbe mai potuto uguagliare Cavour, tanta era il suo disprezzo per le regole, in confronto al liberalismo del conte.
L’opposizione era terrorizzata dal suo ascendente personale sul Parlamento e riteneva che l sua più grande incapacità fosse quella di non saper dividere il potere, circondandosi, inoltre, di persone mediocri.
Uno dei più grandi successi che gli riconosce una parte della storia è stato quello che operò negli ultimi mesi della sua vita.
Sfidò la scomunica e dichiarò guerra al Papa. La vittoria conclusiva, e forse la più notevole del Risorgimento italiano, fu l’aver abbattuto il potere temporale dei papi, sopravvissuto intatto nel corso dei secoli.
Una parte della critica descrive Cavour come un uomo capace di far uso di qualsiasi mezzo per raggiungere il fine preposto.
Se pure questa lettura lo divertiva assai, passò, inutilmente, tutta la vita spiegando di disprezzare ogni forma di doppiezza o d’ipocrisia e che nessuno scopo, per quanto buono, possa valere un prezzo così alto.
Per sventura gravissima, morì nelle prime ore del mattino del 6 giugno 1861, non vivendo abbastanza a lungo per regalare al paese la sua abilità e la sua straordinaria intelligenza nella soluzione dei grandi problemi di quell’Italia Unita che tanto aveva contributo a creare.