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Vice Presidente di Film Commission Torino Piemonte - Collaboratore in Staff Assessorato Attività Produttive, Commercio, Lavoro Città di Torino

La vera saggezza sta in colui che sa di non sapere

Nel corso del tempo il lavoro mi ha insegnato che sono infinite le cose che non sappiamo. Da lì, il mio impegno per l'informazione e la divulgazione è diventato "passione".


martedì 9 novembre 2010

UN PATTO GIA’ SUPERATO


Copenaghen ha ospitato il più importante vertice mondiale sul clima.
In quei giorni le proposte delle più grandi potenze del mondo sono state messe a confronto con le speranze e gli impegni dei paesi ancora in difficoltà. L’analisi critica e costruttiva dei paesi emergenti è maturata nel dialogo con i paesi economicamente avanzati.
Questo summit doveva alimentare le nostre speranze, offrire certezze e soluzioni per rallentare l’azione distruttiva dell’uomo sul pianeta. Doveva placare le paure, invece è stato un fallimento.
Molteplici sono le ipotesi avanzate al riguardo. Analisti, economisti, statisti di tutto il mondo hanno cercato di capire perché il patto nato a Copenaghen nasce come un “accordo imperfetto”, “già vecchio”, tra due grandi potenze: Usa e Cina.
La partecipazione di Obama , che aveva caricato di attese l’evento, ha comunque rappresentato un passo necessario per la politica degli Stati Uniti ma ha comportato un’invitabile soluzione di compromesso con la Cina.
La disputa si è basata su due aspetti fondamentali: l’assoluta necessità che il Governo cinese stabilisca un limite all’emissione dei propri gas serra ( meno del 40% entro il 2020), e la scelta inevitabile di stabilire opportuni controlli a garanzia dell’ingente trasferimento di fondi dagli Stati Uniti alla Cina.
Il risultato non soddisfa la classe industriale americana, né la classe operaia sindacalizzata, che vede nei provvedimenti adottati un ulteriore vantaggio nei confronti del prodotto “made in China”.
In questo panorama l’Europa, che rappresenta la maggiore economia mondiale, si è trovata ai margini della trattativa, piuttosto che nel ruolo di leader, che le spettava svolgere.
Jeremy Rifkin, famoso economista che teorizza la terza rivoluzione industriale, sostiene che queste decisioni non guarderanno mai al futuro se non si sposeranno dal piano della geopolitica, a quello della politica della biosfera.
Per dovere di cronaca è giusto ricordare che la biosfera è un involucro sottile – fra i 45 e i 60 chilometri – che si estende dal fondo degli oceani alla stratosfera e che contiene tutte le forme di vita esistenti sulla terra. E’ in questa ristretta fascia verticale di terra che le creature viventi e i processi geochimici interagiscono, favorendo lo sviluppo e la conservazione della vita, rendendo la terra stessa un organismo perfettamente autoregolato.
L’ambiziosa ipotesi di Rifkin è volta a sostegno delle scelte industriali che utilizzano le risorse rinnovabili degli ecosistemi lasciando intatte le basi della produzione, anziché consumarle con l’inquinamento.
E’ necessario pensare che ogni ipotesi di soluzione suggerita, le teorie economiche studiate, le soluzioni razionali proposte dagli uomini che fanno parte dei Governi, prescindano dal “concetto di potere” che domina l’uomo.
Secondo Umberto Galimberti il potere non si presenta mai come tale, ma può vestire l’abito del prestigio, dell’ambizione, dell’ascendente, della reputazione, della persuasione, del carisma, della decisione, del veto, del controllo e dietro queste maschere è difficile distinguere la spinta che spesso si nasconde: il controllo assoluto delle nostre condizioni di vita.
Ciò per continuare a sperare che l’impegno dei Governi che ci rappresentano non dimentichi mai la regola fondamentale, cardine di ogni decisione a favore dell’uomo, suggerita di recente da Michail Gorbaciovi: il ricorso all’etica!




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