venerdì 23 marzo 2012
FOLGORATA DA KLEIN
Ha vissuto solo 34 anni, Yves Klein, ma in sette anni di attività ha prodotto oltre mille dipinti che lo hanno consacrato un artista del Novecento, la cui opera è stata una conquista classica dell’arte moderna.
Scrivo di Klein come di un lampo che m’ha folgorato di notte, lungo il cammino di una strada buia.
Credo di aver provato il chiaro sintomo della “Sindrome di Stendhal”, quella descritta in “Rome, Naple et Florence”, in cui il grande scrittore racconta della visita nella basilica di Santa Croce e della crisi che lo coglie all’interno della chiesa, costringendolo ad uscire all’esterno per riprendersi da una vertiginosa attrazione.
Mi trovavo di fronte ad alcune opere, parte di una prestigiosa collezione privata e, mentre l’amico collezionista mi raccontava con orgoglio le vicissitùdini di un dipinto fiammingo di cui era ( ed è) particolarmente fiero, ho provato un attimo di stanchezza ed il desiderio profondo di adagiarmi su una sedia.
Il mio è stato un lungo sguardo intorno ad un salone tanto grande, quanto deliziosamente ricco di opere e mobili di grande pregio: difficile individuare una sedia di uso ordinario, che non fosse attribuibile a Luigi XIV in persona…
Nel corso di questa lunga ricerca ottica, durata almeno tre minuti, il mio sguardo è caduto su un “oggetto” di straordinaria bellezza: lo Schiavo Morente, la straordinaria opera di Michelangelo che il Louvre conserva come una delle opere più celebri.
Ammetto che questa statua mozzafiato, parte del basamento per il mausoleo destinato al Papa Giulio II, rappresenta per me un’idea ossessiva di bellezza indiscussa.
Il contrasto tra la forza plastica erompente dei due Prigioni ( Lo Schiavo Morente e lo Schiavo Ribelle) e loro massa, che sembra scalpitare in una fuga affannata dalla vita verso la morte, ha creato in me sempre un grande turbamento. Sembra scorgere nel movimento vivo di quei due splendidi corpi marmorei, la fuga dell’anima dal corpo.
Un dibattimènto che non si può scordare, se visto anche una sola volta.
Quella sera, inerme di fronte a un dipinto fiammingo che non ho saputo apprezzare, lo Schiavo Morente, chiuso in una teca di cristallo e riprodotto in un’altezza di 67 centimetri, mi ha folgorato come non l’avessi mai contemplato per ore al Louvre.
Si trattava dell’opera di Klein, completamente immersa nel suo famoso “blu”, un colore oltremare intenso, luminoso, pungente, quasi doloroso nella sua sfumatura vellutata.
Ho avuto un sussulto. Ho avuto quasi paura, poi ho sentito l’estasi.
Ho sentito il bisogno impellente di capire come Klein abbia potuto generare tanto splendore.
Si tratta di un pigmento nato dopo un anno di esperimenti, portati a termine con l’aiuto di Edouard Adam, chimico parigino e creatore di materiali per l’arte. Per legare il pigmento e farlo aderire al supporto, i due elaborarono una soluzione fluida a base di etere ed estratti di petrolio.
Il risultato è una scossa nelle ossa proprio, secondo il volere di Klein che spiegava: “ Per me ogni sfumatura di colore è, in un certo senso, un individuo, una creatura vivente dello stesso tipo del colore primario, ma con un carattere e un’anima sua propria”.
Sono rimasta turbata per giorni. Ho ripensato alle teorie di Schiller che riteneva ci fosse uno stretto rapporto tra esperienza estetica e crescita intellettuale e morale: il passaggio dallo stato passivo del sentire a quello attivo del pensare e del volere, avviene solo attraverso uno stadio intermedio di libertà estetica.
Non c’è nessuna altra via per far razionale l’uomo sensibile, se non quella di farlo, anzitutto, “estetico”.