Al salone del Libro il Procuratore antimafia Pietro Grasso incontra i ragazzi delle scuole superiori e presenta il suo libro “Liberi tutti”.
Per molti uditori presenti nella Sala Azzurra del Salone del Libro , venerdì 11 maggio, non era la prima volta che ascoltavano Pietro Grasso parlare. Per me, era la prima in cui lo incontravo di persona, a due metri di distanza, quella che intercorre tra la prima fila e il tavolo dei relatori.
Il Procuratore Nazionale Antimafia è entrato in sala dopo una lunga operazione di “bonifica” da parte del servizio di scorta, e sotto il tiro dello sguardo attonito e curioso dei ragazzi presenti in sala. Sembravano spaventati e attratti da una figura che hanno imparato a stimare, ma apparivano disorientati dal clima circostante, affannato e grave, che strideva nettamente con la pacatezza di quell’uomo saggio.
Il Procuratore, l’uomo che nel 1984 ricoprì l’incarico di giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra e che a Palermo, in qualità di Procuratore della Repubblica, diresse le operazioni che portarono all’arresto di 1.779 imputati per reati di mafia e di 13 latitanti considerati tra i 30 più pericolosi, ha lo sguardo penetrante ma luminoso. A sorpresa, di una dolcezza che disorienta.
Il Capo della Direzione Nazionale Antimafia ha la postura di un guerriero e il tono suadente di un mentore. Emana la fermezza di un uomo sorretto da ideali granitici, e il gesto di un fine musicista.
Nella sala gremita scende un rispettoso silenzio. Lui aspetta l’attenzione a cui è abituato, poi inizia i suoi ricordi di bambino.
Parte dalla spiegazione del titolo del suo ultimo libro: LIBERI TUTTI.
Che significa? Quelle due parole sembrano racchiudere il più grande ossimoro, per un uomo che da anni si batte per fare lotta alla mafia.
“Liberi tutti” era la frase chiave di un gioco che faceva da bambino. In un attimo mi è tornato alla mente! Certo! Era il gioco che anche io facevo da bambina: una sorta di “nascondino” in cui ogni partecipante si nascondeva per non essere fatto prigioniero dalla persona che era scelta per la cattura. Tutti coloro che riuscivano ad arrivare indenni alla”tana”, senza essere catturati, erano liberi. L’ultimo, liberava tutti, non solo se stesso, e la sua celebre frase era: “LIBERI TUTTI”.
La scelta di Pietro Grasso, che da bambino ricorda un uomo ferito in un accoltellamento per mafia e la ferocia di chi andò in ospedale per finire quel lavoro incompiuto, fu quella di non voler morire di mafia, ma di combatterla per fare LIBERI TUTTI.
All’improvviso, sembrava di poterlo immaginare quel bambino dallo sguardo già severo…
Il suo libro è stato scritto soprattutto per i ragazzi, per educare quella straordinaria “ingenuità” che è il loro terreno fertile.
Ha spiegato loro i mille inganni che si nascondono nella palude mafiosa e che, spesso, si camuffano con gli ideali di famiglia, onore, rispetto, protezione. In realtà, rappresentano violenza, paura, compromesso.
Ha citato Gramsci, per insegnare loro che “ l’indifferenza è il peso morto della storia”.
Ha esaltato il valore della legalità per spiegare che la lotta alla mafia non può essere condotta se non si abbatte la commistione tra politica e affari, se non si punisce lo spreco per opere pubbliche incompiute, se non vengono fermati gli attacchi parlamentari alla giustizia, se non finisce il meccanismo insidioso delle nomine clientelari.
Era un appello accorato, il suo, perché ognuna di quelle giovani speranze presenti in sala alimenti nel cuore un cittadino consapevole.
Ha trasmesso la fiducia che ripone in loro perché sa che il suo lavoro, da solo, non può bastare. Deve cambiare una cultura perché il lavoro non vada perso.
“C’è bisogno di un procuratore della speranza, oltre che quello antimafia”, ha detto
Al termine del suo discorso quelle facce erano accese di ardore, e stanche, come dopo un lungo conflitto corpo a corpo.
Un silenzio interminabile, poi un applauso scrosciante, rigorosamente in piedi: avevano capito.
Io sapevo che non avrei fatto alcuna domanda al Procuratore che aveva già offerto ogni risposta necessaria. Sapevo che avrei rinunciato alla ressa giornalistica per una battuta che, a quel punto, non avrebbe aggiunto nulla, se non rompere quell’attimo di magia.
Mi sono messa in coda, però, per arrivare fino a lui.
Il mio gesto muto e proteso ha scatenato la reazione del servizio di scorta. Lui li ha guardati con aria rassicurante: “Vuole solo stringermi la mano…”
Per quel gesto incauto mi sono sentita inopportuna, ma ne è valsa la pena.