Il
Professor Zarebelsky ha tenuto l'attesissima lezione sul tema del
lavoro volgendo particolare attenzione all'applicazione dell'articolo
1 della Costituzione.
Come
organizzare un week end di riflessione a Torino sul tema del lavoro
senza coinvolgere il più prestigioso costituzionalista della sua
Università, già Presidente della Corte Costituzionale?
Gustavo
Zagrebelsky, con l'eleganza che lo contraddistingue e
l'understatement che appartiene ad ogni piemontese, calca il
palcoscenico con l'umiltà di chi non crede nell'efficacia del
proprio insegnamento, e con il pudore dell'oratore martoriato da una
fastidiosa costipazione che lo costringe a piccole pause.
La
sua lezione parte da una domanda lecita quanto urgente: cosa vuol
dire essere conservatori, piuttosto che innovatori?
Il
suo inizio poggia su un punto, quello che farà da cardine per tutta
la durata della sua esposizione, come il fulcro su cui fa leva il
mondo del lavoro per ruotare: il maltrattato articolo 1.
Il
Professore rappresenta tutta la sua preoccupazione per una situazione
priva di dominio, all'interno della quale la politica fatica a
gestire i rapporti economici stravolti dalla finanza fine a se
stessa.
In
tale contesto ogni decisione in merito al mondo del lavoro è
subordinata alle spietate regole finanziarie, cui la politica osserva
impotente ed incapace.
Come
può essere rispettato il contenuto di tale articolo il quale prevede
che l'Italia si una democrazia fondata sul lavoro?
Ecco,
dunque, che il lavoro smette di essere un diritto naturale e non
rappresenta più un elemento formativo ma discriminate della società.
I
contratti di prossimità, che un tempo costituivano una parte del
contratto nazionale a favore dei lavoratori, oggi vengono stipulati a
sfavore degli stessi, per superare le rigidità dell'azienda e
agevolarla.
Il
Professor Zagrebelsky ha voluto vestire i panni di umanista (
ironizzando sul fatto che anche un giurista possa esserlo) per
riflettere sulla spietata spirale che costringe l'uomo a lavorare per
produrre ciò che consumerà: un vortice economico spietato entro il
quale l'uomo stesso rischia di soffocare.
Ogni
riflessione diventa cupa se si pensa che la politica, sempre più
connivente, collusa e impreparata, subisce senza mai governare.
La
Lectio finisce con una riflessione alla domanda dalla quale iniziò:
forse non siamo innovatori, bensì conservatori.
La
sua analisi sembra ossigeno per una platea attenta che cerca, sempre
più affannosamente, una risposta nella società civile, piuttosto
che nella politica inadeguata.
L'applauso
scrosciante ne è stato la prova.