Alessandro Baricco
Alla
terza edizione di Biennale Democrazia la Lectio Magistralis di
Alessandro Baricco sull'utopia.
Quando
entra sull'austero ed imponente palcoscenico del Teatro Regio di
Torino, sembra uno di noi. Pacato, un po' ritorto, vagamente
distaccato dall'evento e dal quel pubblico che, a tratti, non lo ama:
Alessandro Baricco appare così nell'incontro che Biennale ha
organizzato tra l'intellettuale geniale, schivo, difficile e la sua
città.
Entra
con l'incedere faticoso di un uomo che sembra sorreggere le
imperfezioni del mondo, e con l'approccio timido di chi sembra
essere finito lì per caso.
Saluta
il pubblico con un sguardo inclinato, quasi umile. Si siede alla
scrivania che il Teatro ha posto al centro del palco, sotto un unico
cono di luce, tutto per lui.
Apre
il leggendario zainetto dell'uomo qualunque, sfodera tre libri, e lì,
inizia il duello con la platea, senza esclusioni di colpi.
Da
quello zainetto, insieme ai tre testi, sembra che escano,
contemporaneamente, la sua personalità dirompente, la sua oratoria
impareggiabile, il suo ego, che non lascia mai troppo spazio sul
resto del pianeta.
I
primi colpi li sferza sussurrando, senza affanni, La voce ha il
timbro giusto, basso...Le pause sono perfettamente intercalate. I
gesti sono sapientemente misurati e quella luce, quell'unico cono,
sembra amplificare l'effetto sortito.
Il
narrare l'utopia parte dai desideri che lo hanno illuminato da
bambino e si poggia su quattro opere, di indubbio valore artistico,
che il sapiente Baricco ha accuratamente selezionato.
Il
primo sogno trova casa in “ Zibaldino” di Giovanni Guareschi, un
libro ben scritto e molto divertente che insinua nello scrittore
bambino il desiderio che rimarrà il fuoco della sua vita: leggere,
per vivere tante vite di altri, e scrivere, per costruirne
altrettante. Il brano scelto per la lettura è astutamente
divertente.
La
seconda utopia che Baricco ricorda aver segnato la sua infanzia è
stata quella di essere un uomo giusto. Niente di meno...Il sogno si
realizza nelle pagine di Cyrano de Bergerac dove la forma letteraria
più perfetta rende affascinante il narcisismo, china pericolosa
dell'ego. Baricco legge poche pagine con l'accortezza del grande
narratore e la consapevolezza che il narcisismo, almeno nei suoi
inizi, è fantastico, prima di tracimare in tragedia. Quelle parole
sono un inno alla forza dell'uomo libero, mai servo, mai chino di
fronte al potere. Splendidi versi.
Il
terzo sogno, per Baricco, fu quello di possedere un talento.
Alcune
pagine del “saggio sul narrare” di Walter Benjamin è stata la
scelta di lettura per il pubblico, per spiegare la forza del talento
e la tragica possibilità di non riconoscerlo, fino a sprecarlo. Non
è il suo caso, ovviamente.
La
quarta utopia ha pescato nel mondo della musica per trovare un codice
di interpretazione: una delle più belle composizioni di Haendel per
attingerne il messaggio dal suo testo.
Baricco
traduce direttamente dall'inglese ( gesto vezzoso per un
conferenziere che nulla lascia al caso) l'emozionante dichiarazione
di amore indiscusso di una regina al suo amato. Questo risponde al
suo sogno: la luce! Baricco sognava di vivere nella luce che, per
lui, è l'accettazione totale dell'amore, senza alcuna recriminazione
(casualmente, l'amore di una donna per l'uomo perfetto, e non
viceversa).
Il
suo discorso è stato dedicato alla potenza dei sogni, delle utopie
anche nel caso che non si avverino mai. Ha concluso ricordando che
tutto il resto...è un casino...
Tutto
il suo viaggio di Baricco nell'utopia è stato all'interno del suo
mondo, piuttosto che nel discorso di Marther Luther King.
Lui
sa di essere egocentrico. Non ne fa mistero. Non tenta alcuna
mistificazione.
Lo
fa con l'educazione di chi non lo urla, ma con la sfrontatezza di chi
è sicuro del suo talento.
Forse
non è simpatico ma, accidenti, è proprio bravo. E ogni
intellettuale che stenta l'applauso in sala lo sa, tanto che
vorrebbe assomigliargli...