Al
Torino Film Festival un film ambientato in Slovacchia narra la storia
dell'emigrazione di una ragazza nella Boemia occidentale.
In
ogni parte del mondo l'emigrazione è un flusso intermittente di vite
che si spostano, si salvano e, spesso, si spengono.
In
questo primo lungometraggio di Iveta Grofova, laureata presso la
Academy of Performing Arts di Bratislavia e specializzata in cinema
documentario, una ragazza, Dorota, dopo aver ottenuto il diploma
decide di emigrare da un paesino della Slovacchia, verso la Boemia
occidentale, in cerca di un lavoro agognato nella sua terra.
La
sua non è esattamente una scelta, come spesso accade quando si
abbandona il proprio luogo natio, ma è una forte esortazione della
famiglia priva dei mezzi necessari a sostentarla.
Troverà
lavoro come sarta in una condizione disagevole e di estrema
precarietà.
Perderà
il lavoro e il denaro necessario a sopravvivere. Chiederà aiuto alla
famiglia che non l'accoglierà ma l'abbandonerà a se stessa.
La
regista è riuscita a ricreare l'ambiente e le condizioni di estremo
disagio sociale nel quale la ragazza si trova a sopravvivere.
Il
suo impegno è stato quello di spiegare, meticolosamente, quali
possano essere le tappe del doloroso percorso che conduce alla
prostituzione, perchè lo spettatore provi a guardare prescindendo da
superficiali giudizi morali.
Alcune
scene sfiorano il grottesco, con unioni tra giovani ragazze e
personaggi sgradevoli che, pur nella loro solitudine malinconica, non
hanno alcunché di poetico, arrivando a sfiorare l'antica
rappresentazione de “La Bella e la Bestia”.
L'impegno
della regista, non a torto, è quello di nebulizzare le riprese più
crude per lasciare solo l'effetto acustico dei dialoghi sconci:
l'effetto ne viene decuplicato, e il senso dell'orrore cresce
nell'immaginazione di chi guarda.
Solo
alcuni tremolanti bozzetti a carboncino, che si alternano alle scene
pornografiche, sdrammatizzano quell'atmosfera cupa e senza speranza:
un'altra buona idea.
La
ragazza troverà la salvezza solo nell'unione definitiva con uno
degli “orchi” che l'ha posseduta e che, solo e infelice a sua
volta, le offre affetto e una vita sicura. Finiranno per volersi bene
davvero.
Ecco
come avvengono i matrimoni tra giovani emigrate e anziani signori
benestanti.
Per
qualcuno, queste tematiche sono drammaticamente “già viste”.
Per
molti è una cocente realtà e il cinema ogni tanto dovrebbe
impegnarsi a rappresentarla nella sua crudezza. Si chiama “cinema
impegnato”, come quello che si vede al Torino Film Festival.
Non
so se è il cinema più bello. Certamente è necessario.