Sarà esposta alle Scuderie del
Quirinale fino al 27 gennaio 2013 la mostra dedicata a Vermeer e ai maestri del
secolo d’oro dell’arte olandese.
Ci sono mostre che restano impresse per
l’esuberanza dell’artista, per l’effetto complessivo dell’allestimento, per il
clamore della comunicazione o per le code interminabili al botteghino.
Ci sono mostre di cui non si riesce a
dimenticare la sequenza studiata di
opere dedicate a un tema, o l’accanimento del confronto tra due grandi artisti
appartenenti ad epoche tra loro lontane.
A me, sollevata dal compito gravoso del
critico di recensire accuratamente una
mostra, è rimasta impressa una tela tra le decine appartenenti a
Johannes Vermeer e ai grandi fiamminghi,
esposte alle Scuderie del Quirinale fino al 20 gennaio 2013.
Un paradosso, quello di concedersi il lusso
di scegliere un’opera, tra una vasta scelta di capolavori.
Si tratta della folgorazione del visitatore
impreparato che, pur intuendo la grandezza della pittura olandese
dell’Ottocento, viene colto da quel vago malore che è il sintomo della più ben
nota Sindrome di Stendhal.
Come si può negare che le otto opere
appartenenti a Vermeer non siano l’esempio, tra i più perfetti, di come debba
essere trattata la luce in una tela…
Come ignorare il rapporto esatto dei
colori, il rigore formale con cui vengono accostati e stesi fino a creare
quell’equilibrio perfetto che balza fuori come uno starnuto?
Come non vedere che il lavoro di tutti
quegli artisti racchiude una pittura che è apologia del silenzio, capace di
stabilire un rapporto interiore con le cose?
Eppure, una di quelle tele è stata, per me,
un vero sparo in petto. E non appartiene al grande Vermeer, per il quale,
invece, ho intrapreso il viaggio fino a Roma.
Inutile negare lo sconcerto nell’ammirare
il raffronto tra il ritratto di “Santa Prassede”, santa romana del
secondo secolo che si occupava dei martiri della causa cristiana, effettuato
dal grande Maestro e quello eseguito da Felice Ficherelli, artista
fiorentino della metà del
diciassettesimo secolo.
La differenza è troppa perché possa
sfuggire anche all’incauto turista di passaggio.
Si tratta della “copiatura” di un quadro della grande scuola fiorentina da
parte di Vermeer, artista che viaggiava
poco e che rimase per tutta la vita
fuori dai circuiti convenzionali della committenza, fin quasi a cadere
nell’oblio da cui riemerse negli ultimi
anni dell’Ottocento, per volontà di un critico francese.
Chiaro che il senso della proporzione di
quel corpo, il colore commovente della veste rosso vermiglio perfettamente
riprodotta, o il bianco trasparente del lino che l’avvolge, lascino senza
fiato; come il color porcellana della pelle della Signora con cappello rosso il cui volto sembra colpito da una luce improvvisa, restituendo un’ espressione
che sembra fugace e sopresa.
Ciò premesso, il fiato si è mozzato di fronte a Astronomo
al lume di candela, di Gerrit Dou, artista fiammingo che fu
apprendista nello studio di Vermeer.
In questa piccola, raffinatissima tela Dou
rappresenta uno studioso circondato dagli strumenti utili ad un astronomo.
Il ritratto sembra risentire del clima di
fervore scientifico che allora si
concentrava sulle discipline dell’ottica e della cartografia, e il suo stesso
tratto non sembra specchio fedele del visibile, ma il risultato di strati di
colore e di luce che si sovrappongono per dare consistenza alle forme, in
stretta analogia con le teorie della visione di Keplero.
E’ emozionante il forte contrasto tra il
profondo buio della stanza, che sembra riprodurre il baratro della conoscenza,
e la fiammata di luce che piomba sullo scienziato, il suo mappamondo, le sue
carte geografiche, i suoi strumenti e il suo bisogno di sapere.
Emblematica rappresentazione di quella
rivoluzione scientifica che stava per portare l’uomo lontano dalla sua
ignoranza.
L’affanno claustrofobico dell’ottusità in bilico con l’euforia
illuminata della conoscenza.
Quel quadro sembra palpitare…
Lo scienziato non guarda le sue carte ma
l’oscurità.
Allontana i suoi occhiali perché non ha
bisogno di lenti.
Il futuro lo sente arrivare.
Strepitoso.
Perdono, Vermeer.